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Come sono gli italiani visti dagli italiani? Conviviali e ironici

Posted by Massimo Miceli on
Come sono gli italiani visti dagli italiani? Conviviali e ironici

A tratteggiare il ritratto degli italiani ‘visti’ dagli italiani è uno studio condotto su quattro generazioni da Astraricerche per Birra Moretti, brand del gruppo Heineken con una storia di oltre 160 anni sulle spalle. Secondo lo studio, dalla GenZ ai Baby Boomers quattro connazionali su dieci si auto percepiscono conviviali. Al secondo posto dopo la convivialità gli italiani indicano la ‘leggerezza’ legata alla buona compagnia (35%), soprattutto gli under 25. Insomma, se proprio dobbiamo dare una etichetta al nostro essere italiani è la convivialità. E se poi la convivialità è a tavola, allora siamo tutti d’accordo.

GenZ, Millennials, Generazione X e Boomers a confronto

Ma la percezione dell’italianità non è univoca tra le generazioni. Ad esempio, la GenZ, rispetto alle altre generazioni, riconosce negli italiani l’ironia (32%), ma anche l’altruismo (27%), e al terzo gradino del podio, l’autenticità (24%). I Millennials, invece, più delle altre generazioni individuano nella ricerca del benessere e della felicità fisica e mentale una delle caratteristiche di noi italiani (35%), mentre la Generazione X individua l’essere italiani soprattutto nella creatività (33%). E per i Baby Boomers è l’impegno per la sostenibilità a contraddistinguere la nostra natura di italiani.

Le etichette più detestate: indisciplinati, mammoni, individualisti

Non ci piacciono invece le etichette a cui gli stranieri ci hanno abituati: per quasi un italiano su due (45%), lo stereotipo più detestato è quello di essere considerati un popolo di indisciplinati, un giudizio osteggiato in particolare dalla GenZ. A seguire, gli italiani indicano tra le etichette più odiose l’essere considerati ‘mammoni’ (34%) e troppo gesticolanti e chiassosi (30%). Giudizi diffusi, ma reputati più accettabili dai nostri connazionali, sono l’individualismo e la troppa sicurezza di sé (20%), insieme all’essere considerati troppo modaioli (17%).

Viva i pranzi a casa e i Mondiali guardati con gli amici

Su una cosa però gli italiani sono d’accordo. La convivialità a tavola è uno dei momenti che meglio rappresenta il nostro stile di vita. Al primo posto uno su due indica i pranzi, gli aperitivi e le cene a casa con gli amici (48%), seguiti dalla visione condivisa di grandi eventi sportivi come i mondiali di calcio (38%) o semplicemente, mangiare fuori casa in compagnia di chi ci fa stare bene (38%). Più staccate, riporta Askanews, la partecipazione a iniziative che riguardano il benessere della comunità nella quale si vive (20%) o a eventi culturali (16%).
In particolare, tra i momenti conviviali tipicamente italiani i nostri connazionali apprezzano molto il tradizionale pranzo della domenica (42%), molto più amato da Baby Boomers, meno dalla GenZ, ma anche le serate in pizzeria con gli amici (25%). Mentre tra gli under 25 riscuote consensi anche lo street food.

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Spreco alimentare e impatto sul consumo energetico

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Spreco alimentare e impatto sul consumo energetico

Serve un’enorme quantità di energia per produrre, distribuire e cuocere alimenti, che nonostante siano ancora commestibili, diventano fin dall’origine un surplus inutilizzato. Lo spreco alimentare è di conseguenza anche spreco energetico. Secondo lo Studio effettuato dall’Università di Bologna, in collaborazione con ENEA, il 3% del consumo energetico dipende dallo spreco alimentare. La quantità enorme di produzione agricola e alimentare che marcisce in campo o in discarica, dopo essere stata lavorata non è quindi solo un problema etico e sociale, ma anche energetico. Per quanto riguarda l’Italia, ogni cittadino getta in media 30,3 grammi di frutta alla settimana, 26,4 grammi di insalata e 22,8 grammi di pane fresco.

Due “sprechi” che vanno di pari passo

Lo spreco di energia derivante dal cibo sprecato in Italia vale 4,02 miliardi euro. Un costo che porta a circa 11 miliardi euro complessivi il valore dello spreco alimentare domestico, sulla base di un costo dell’energia elettrica di 0,4151 euro/kWh. Il 3,2% della produzione agricola totale rimane a marcire sul campo: 1,5 milioni di tonnellate di alimenti che per arrivare a maturazione hanno consumato la stessa quantità di energia che potrebbe riscaldare 400mila appartamenti ad alta efficienza. Questi rifiuti alimentari finiscono poi nelle discariche a marcire, rilasciando gas serra (GHG). E se a questo si combina la quantità di energia necessaria per raccogliere, produrre, trasportare e conservare questo cibo, si arriva a 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. 

Un rimedio arriva dalle nuove tecnologie per l’agricoltura

Se lo spreco di cibo fosse un paese sarebbe il terzo più grande emettitore di gas serra nel mondo, dopo Stati Uniti e Cina. Uno dei rimedi è dato dalle nuove tecnologie per il settore dell’agricoltura (agricoltura di precisione, biologica, produzione locale), ma anche dalla valorizzazione degli scarti agricoli e alimentari per il recupero energetico (energia da biomasse). L’It, in particolare, può contribuire alla razionalizzazione delle produzioni agricole e alimentari, soprattutto quando si tratta di rendere più efficienti i processi di produzione e trasformazione, e assecondare la variabilità della domanda grazie alla raccolta e all’elaborazione in tempo reale delle informazioni.

Biometano: una fonte di energia rinnovabile 100% Made in Italy

Il biometano deriva dal trattamento del biogas prodotto dai residui dei raccolti agricoli, dalla fermentazione di letame, scarti alimentari, erba e foglie.
Si tratta di una vera e propria fonte di energie rinnovabili, che sfrutta la degradazione di materiali che se lasciati nell’ambiente o nei campi libererebbero gas serra nell’atmosfera. È un tema centrale dell’economia circolare, poiché riveste un ruolo chiave anche nella soluzione del problema relativo allo smaltimento dei rifiuti. Recentemente, la Commissione europea ha approvato 4,5 miliardi di finanziamenti all’Italia per sostenere la produzione di biometano. La misura rientra nella strategia per ridurre la dipendenza dal gas russo e aumentare la quota di energia rinnovabile nel mix energetico.
Il biometano rappresenta infatti l’unico biocarburante 100% Made in Italy, e potrebbe essere determinante soprattutto per il settore dei trasporti.

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Il cibo? Gli italiani lo vogliono sicuro

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Il cibo? Gli italiani lo vogliono sicuro

Si sa che per gli italiani il cibo sia un’assoluta priorità. Per fortuna, anche in anni difficili come lo sono stati quelli della pandemia, gli agricoltori di casa nostra hanno saputo garantire la continuità delle forniture di cibo salutare e sicuro, contribuendo alla sostenibilità ambientale e alla lotta al riscaldamento globale. I nostri connazionali riconoscono questo valore, come sottolinea il secondo numero dell’Osservatorio Enpaia-Censis “L’agricoltura italiana nelle nuove sfide”. 

Il ruolo delle imprese agricole

Ma agli imprenditori dell’agricoltura viene chiesto molto, anche aspetti che apparentemente esulano dal loro core business. Per il 54% degli italiani infatti, gli imprenditori agricoli devono garantire la disponibilità di cibo sicuro, sano, sostenibile e di alta qualità; per il 29% la tutela del benessere degli animali allevati; per il 24% la promozione della vita nei luoghi rurali e nelle campagne; per il 19% un’offerta articolata di cibo di qualità; per il 16% la sua fornitura in modo stabile in ogni situazione. Insomma, tanti ruoli che vanno ben oltre la coltivazione o l’allevamento.

Il 96% degli italiani apprezza

Tutto questo impegno è però riconosciuto. L’agricoltura e i suoi protagonisti, riferisce Italpress, hanno visto rinforzare la loro social reputation, il grado di fiducia sociale nei loro confronti, a testimonianza di un’azione efficace e apprezzata: il 96% degli italiani ritiene che l’agricoltura sia molto o abbastanza importante per il nostro futuro. Il 74%, inoltre, è convinto che gli agricoltori abbiano già dato un contributo importante nella lotta al riscaldamento globale, quota più alta di 16 punti percentuali rispetto al dato medio europeo. L’impatto dei costi più alti per il cibo tocca sia i prodotti agricoli subito utilizzabili sia quelli processati dell’industria alimentare.

Un settore da non “lasciare solo”

“Nelle attuali difficoltà resta alta la fiducia degli italiani nell’agricoltura, perchè garantisce gli approvvigionamenti anche nelle situazioni estreme, è impegnata, da tempo, nella lotta al riscaldamento globale e il buon cibo italiano contribuisce al benessere delle persone” ha dichiarato Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis. “In questa fase, poi, di fronte al decollo dei costi di energia e materie prime, è essenziale non lasciare sole le imprese agricole, perchè la loro crisi avrebbe costi sociali altissimi”.

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Moda sostenibile e connessa: la vogliono i consumatori

Posted by Massimo Miceli on
Moda sostenibile e connessa: la vogliono i consumatori

Oggi i consumatori si aspettano esperienze e servizi che li aiutino a contribuire a coltivare abitudini sostenibili con i marchi e i prodotti di moda. Al contempo, cresce rapidamente il numero di prodotti connessi, e i consumatori sono sempre più propensi a scannerizzare etichette con lo smartphone per accedere a contenuti e servizi digitali. Insomma, la cultura dell’usa e getta non va più di moda. Tanto che secondo lo studio di Certilogo, la sostenibilità di un prodotto influenza le scelte d’acquisto. E la richiesta di trasparenza è esplicita anche da parte dei consumatori, soprattutto dei Millennial, i più attenti a fare acquisti ‘amici dell’ambiente’: 3 su 4 dichiarano di preoccuparsene molto, rispetto a 6 su 10 tra i Gen Z.

L’importanza delle certificazioni ‘green’

Inoltre, il 93% dei consumatori ritiene che i prodotti che offrono l’accesso a servizi legati alla sostenibilità siano utili, e 1 su 5 ritiene estremamente importanti le certificazioni ‘green’. Le nuove normative nell’ambito della Direttiva Europea sui Tessili Sostenibili e Circolari obbligheranno infatti i marchi della moda a dotare i prodotti di una identità digitale e un passaporto digitale del prodotto in grado di informare i consumatori dell’impatto ambientale del loro acquisto. E ora che i consumatori aspirano a divenire più responsabili sono sempre più interessati a recuperare il massimo valore possibile dai loro acquisti. Oltre il 70% dei consumatori si aspetta di recuperare in parte il valore del prodotto, e la rivendita sembra il metodo più popolare (35,6%). Inoltre, il 16,3% restituirebbe più volentieri il prodotto al brand produttore affinché lo ricicli in cambio di un riconoscimento del suo valore in qualche forma.

Parole d’ordine, autenticità e circolarità

Ma anche sapere che un prodotto è autentico e legittimo è fondamentale per i consumatori, che considerano l’autenticazione il servizio di sostenibilità più utile in assoluto quando si collegano a un prodotto connesso. Questi nuovi comportamenti dall’impronta ‘green’ possono essere sfruttati in maniera lungimirante dai brand per creare una relazione nuova, vera e reciprocamente proficua con i clienti. Ad esempio, i servizi che estendono la vita del prodotto possono ridurre lo spreco, nonché la produzione di articoli non indispensabili: come quelli di cura e di riparazione, richiesti da più del 40% dei consumatori. Perché i servizi che abilitano la circolarità aiutano a ridurre i rifiuti e l’impiego di materie prime.

Ridurre l’impatto sociale e ambientale dell’industria fashion

Per massimizzare sostenibilità e rilevanza, i brand devono quindi superare i confini dello storytelling, offrire esperienze che vadano oltre ‘il racconto delle iniziative green’, e riconoscere il ruolo fondamentale che i consumatori devono giocare per ridurre l’impatto sociale e ambientale dell’industria fashion. I brand che mancheranno di intraprendere i passi giusti verso la sostenibilità, e che non sapranno creare una connessione diretta e duratura con i loro clienti, rischiano di vedersi puniti dai consumatori, oltre che dagli enti regolatori europei e americani.

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Come far passare la sciatica?

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Per sciatica intendiamo quel dolore che a tutti sarà capitato almeno una volta di avvertire nelal parte bassa della schiena, in particolare lungo il nervo sciatico.

Questa sensazione di dolore è in grado di protrarsi fino alle gambe ed è per questo comunemente chiamata anche sciatalgia.

Sebbene esistano diverse forme di sciatica, possiamo dire che tutte sono accomunate da un dolore localizzato di intensità variabile.

Quali sono le cause della sciatica?

Solitamente ad originare una sciatica può esserci una postura errata che assumiamo quotidianamente, un movimento brusco e improvviso, una ernia discale o eccessiva sedentarietà.

Sono queste di norma le cause per le quali più spesso si va a presentare la sciatica, e più o meno tutti conosciamo bene il fastidio che si prova in quei giorni in cui tale problema si presenta.

Per fortuna ci sono tante cose che possiamo fare per lavorarci su e far scomparire questo dolore nell’arco di qualche giorno, vediamo quali di seguito.

Come curare la sciatica?

Certamente ci sono delle cose che possiamo fare per curare la nostra sciatica. Dato che si tratta di una infiammazione del nervo sciatico, la cosa più logica da fare è assumere degli antinfiammatori così da andare a calmare questo stato di dolore.

Può rappresentare un sollievo per il paziente anche il posizionare del ghiaccio sopra la parte interessata per qualche minuto, o alternare direttamente degli impacchi caldi con altri freddi.

Un altro toccasana in caso di sciatica è quello di rivolgersi ad un fisioterapista o massoterapista che possa effettuare dei massaggi mirati per calmierare lo stato infiammatorio. Tanti professionisti seguono proprio degli specifici corsi di massoterapia per specializzarsi nel trattare tutte quelle criticità che riguardano la schiena e tra queste certamente anche la sciatica.

Molto importante inoltre è assumere nel corso della giornata una posizione che non vada a sollecitare o schiacciare il nervo sciatico ma che al contrario gli consenta di riposare e rigenerarsi.

In alcuni casi può essere preferibile anche fare del nuoto così da lavorare in sospensione senza sovraccaricare il muscolo sciatico.

Cosa è sconsigliato quando si ha la sciatica?

Ci sono certamente delle cose che è bene non fare quando si ha la sciatica, per evitare di peggiorare la situazione.

Una tra queste è certamente quella di applicare elementi caldi o freddi direttamente sulla pelle. Meglio invece avvolgerli in un panno, così da evitare il contatto diretto sulla pelle.

È bene inoltre evitare di rimanere diverse ore distesi sul letto, ma al contrario una passeggiata può essere di aiuto. Chiaramente in quei giorni in cui si presenta la sciatica è bene evitare qualsiasi tipo di attività fisica particolarmente stressante per il corpo o andare a sollevare eventuali carichi pesanti.

Come in tutte le cose, è bene evitare anche di assumere un numero eccessivo di antinfiammatori e al contrario in questo caso è meglio sempre chiedere un parere al proprio medico curante.

Esistono dei rimedi naturali per la sciatica?

Di norma possiamo dire che i rimedi naturali per la sciatica più efficaci sono il riposo e l’applicazione di impacchi caldi e freddi sulla zona interessata.

Anche una piccola passeggiata, ripetuta più volte nel corso della giornata, può aiutare a velocizzare i tempi di recupero.

Per quel che riguarda eventuali prodotti che possono essere assunti per curare la sciatica ricordiamo l’arnica montana,  la quale ha notevoli proprietà antinfiammatorie, la lavanda dalle notevoli proprietà antinevralgiche, e l’applicazione di fanghi termali i quali hanno capacità antinfiammatoria superficiale.

In breve

Dunque la sciatica è una sintomatologia che a tutti può capitare nella vita e che è possibile curare anche nell’arco di un paio di giorni, avendo attenzione di osservare il giusto riposo e apportando quei piccoli rimedi, anche casalinghi, che hanno una grande efficacia.

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Aumento prezzi: gli italiani “tagliano” il carrello della spesa

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Aumento prezzi: gli italiani “tagliano” il carrello della spesa

L’aumento record dei prezzi causa dei rincari energetici e gli effetti della guerra in Ucraina riducono il potere d’acquisto dei cittadini. Così, il 51% degli italiani o su due è costretto a tagliare la spesa nel carrello, e un altro 18% si orienta verso prodotti low cost per arrivare a fine mese riducendo la qualità degli acquisti. Ma c’è un 31% che non ha modificato le abitudini di spesa. È quanto emerge dai risultati dell’indagine condotta sul sito coldiretti.it.

Prodotti alimentari: si spende il 3,1% in più per acquistare il 3% in meno
La situazione varia da prodotto a prodotto. Ad esempio, gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta e verdura, crollati nel 2022 dell’11%, scendendo a 2,6 milioni di tonnellate (dati Cso Italy/Gfk Italia I semestre). Un taglio destinato nel tempo ad avere un impatto anche sulla salute, se si considera che la soglia minima di frutta e verdure fresche da mangiare al giorno, raccomandata dall’Oms per una dieta sana è di 400 grammi.
Dall’analisi Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio al dettaglio nel primo semestre 2022, risulta però che gli italiani hanno speso per i prodotti alimentari il 3,1% in più, per acquistare una quantità ridotta del 3%. Ulteriore evidenza è un vero boom dei discount alimentari, che mettono a segno un aumento delle vendite del +9%.

A rischio alimentare oltre 2,6 milioni di persone
Ma a rischio alimentare ci sono soprattutto gli oltre 2,6 milioni di persone che in Italia sono costrette a chiedere aiuto per mangiare con i pacchi dono o nelle mense di carità. È la punta dell’iceberg delle difficoltà in cui rischia di trovarsi un numero sempre più crescente di famiglie. L’esplosione di costi ha poi un impatto devastante dal campo alla tavola, in un momento in cui prima la siccità e poi il maltempo ha devastato i raccolti, con perdite stimate a 6 miliardi di euro (il 10% della produzione nelle campagne), dove più di 1 azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività, e secondo il Crea oltre 1/3 del totale nazionale (34%) si trova costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dei rincari.

Colpita tutta la filiera agroalimentare
In agricoltura si registrano infatti aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio. Ma gli aumenti riguardano l’intera filiera alimentare: il vetro costa oltre il 30% in più rispetto allo scorso anno, il tetrapack +15%, le etichette +35% eccetera. Una situazione, quindi, destinata a esplodere in autunno, colpendo una filiera agroalimentare da 575 miliardi di euro, quasi un quarto del Pil nazionale, che vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.

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Crollano le criptovalute e aumentano gli attacchi smart

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Crollano le criptovalute e aumentano gli attacchi smart

Nel secondo trimestre 2022, a causa dell’aumento della durata media e della percentuale di attacchi smart, gli attacchi DDoS (Distributed Denial of Service) hanno raggiunto un nuovo livello. Rispetto all’anno precedente, la durata media di un attacco DDoS è aumentata di 100 volte. Allo stesso modo, la percentuale di attacchi smart ha quasi superato il record degli ultimi quattro anni, arrivando a rappresentare quasi la metà del totale. Il report trimestrale DDoS pubblicato da Kaspersky prevede anche un aumento dell’attività DDoS complessiva, soprattutto in seguito al recente crollo delle criptovalute. Secondo il sistema Kaspersky DDoS Intelligence, quest’anno la dinamica del numero di attacchi DDoS all’interno del trimestre non ha rispecchiato lo schema tipico. Un dato coerente appunto con la crisi delle criptovalute, che di solito stimolano il mercato degli attacchi DDoS.

Dalla quantità alla qualità

Un attacco DDoS è progettato per interferire con il normale funzionamento di un sito web o bloccarlo completamente. Durante un attacco, che di solito prende di mira istituzioni governative, società finanziarie o di vendita al dettaglio, media o altre organizzazioni, chi lo subisce rischia di perdere clienti a causa dell’indisponibilità del proprio sito web, e ne risente anche la reputazione. Rispetto ai dati del secondo trimestre 2021, le soluzioni Kaspersky hanno rilevato un numero di utenti colpiti da attacchi DDoS di circa 2,5 volte superiore. Nel secondo trimestre 2022, a differenza dell’inizio dell’anno, in cui si è registrata una forte crescita di attacchi dovuti all’attività degli hacktivist, i dati assoluti sono diminuiti. Questo però non significa che il mercato DDoS si sia indebolito, anzi, la qualità degli attacchi è cambiata: ora sono più lunghi e complicati.

Attacchi smart da record

Nel secondo trimestre 2022, un attacco su due rilevato dai prodotti Kaspersky è stato di tipo smart, il che significa che gli organizzatori hanno condotto una preparazione piuttosto sofisticata. La percentuale di attacchi smart ha raggiunto un nuovo record in questo trimestre, quasi il 50%.
Il valore più alto in assoluto era stato raggiunto quattro anni fa, quando il mercato DDoS era in crisi, quindi un dato inaspettato ora, in un anno ‘intenso’ in termini di attività DDoS.

La sessione DDoS media ha avuto una durata 100 volte superiore

La durata media di un attacco nel secondo trimestre 2022 è stata di 3.000 minuti, ovvero due giorni.
Si tratta di una durata 100 volte superiore a quella del secondo trimestre del 2021, quando un attacco durava in media solo 30 minuti. Rispetto al primo trimestre del 2022, che a causa dell’attività degli hacktivist era caratterizzato da una durata senza precedenti delle sessioni DDoS, anche il secondo trimestre mostra un aumento pari a tre volte. Alcuni degli attacchi dello scorso trimestre sono durati giorni o addirittura settimane. Il record è stato stabilito da un attacco con una durata di 41.441 minuti, ovvero poco meno di 29 giorni.

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Spiagge: gli italiani sono attenti alla pulizia

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Spiagge: gli italiani sono attenti alla pulizia

Il sentimento più diffuso di fronte al degrado delle spiagge italiane è il fastidio, provato da circa 25 milioni di persone. L’esperienza della sporcizia sui litorali è infatti comune tra la popolazione: sono 27,4 milioni gli italiani che l’hanno vissuta, e solo il 12% non l’ha mai provata. Sono però 19 milioni (62%) gli italiani responsabili, che si prendono cura del luogo in cui si trovano, rimuovendo se necessario gli oggetti abbandonati da altri. E se qualcuno non sembra invece essere particolarmente colpito dalla presenza di rifiuti in spiaggia, la reazione è la medesima: fare la propria parte. I responsabili sono per lo più giovani, con meno di 24 anni, vivono in prevalenza nelle grandi città del sud, sono lettori e appassionati di sport e vita all’aperto.

Dai “vorrei ma non posso” agli “indifferenti” 

È quanto emerge dal sondaggio di Sorgenia realizzato da Human Highway per misurare i sentimenti di 31 milioni di italiani che frequentano abitualmente le spiagge del Paese. Ci sono poi i vorrei ma non posso (18,7%), che provano rabbia di fronte ai litorali sporchi ma non agiscono perché non ritengono sia compito loro, non hanno gli strumenti adeguati o sono preoccupati per ragioni igieniche. Ci sono anche gli indifferenti (2,5 milioni), che pur notando la sporcizia non sentono il bisogno di intervenire, e i distratti (11,7%), che addirittura non vedono i rifiuti.

Ma quali sono i rifiuti più diffusi?

Al primo posto i mozziconi di sigaretta (notati dal 72,3% del campione), poi bottiglie, lattine e plastiche (50%), e new entry tra gli oggetti d’uso quotidiano, le mascherine (39,8%). Nella classifica degli oggetti indebitamente abbandonati sui litorali anche avanzi di alimenti, carte e giornali, escrementi di animali domestici e indumenti. Come prevenire il degrado? Il 40% degli italiani suggerisce un maggior numero di cestini e bidoni a margine dei lidi e una quota simile reclama la figura della ‘guardia marina’ per far rispettare le regole.

Le proposte per prevenire il degrado

Tra le altre proposte, riferisce Adnkronos, aumentare i cartelli informativi e dare ai bagnanti gli strumenti per portare via i propri rifiuti. Soprattutto, i più responsabili sono favorevoli a nuove forme di interventi condivisi, come flashmob da organizzare periodicamente sulle spiagge. Il 22,8% di loro vorrebbe istituire la ‘mezz’ora di pulizia’ e uno su sette consiglia di puntare sulla tecnologia, segnalando gli appuntamenti di plogging su canali social o promuovendo apposite app che indichino le spiagge più sporche e convochino i volontari a pulirle.

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GenZ e shopping: perché è diversa da tutte le altre

Posted by Massimo Miceli on
GenZ e shopping: perché è diversa da tutte le altre

La Gen Z acquista ovunque convenga di più e nel momento che reputa migliore, senza necessariamente preferire un mezzo particolare per trovare ciò che desidera. Inoltre, vuole acquistare su diversi canali, desidera articoli di alta qualità e vuole essere sempre aggiornata sui nuovi trend culturali. Questa consapevolezza dei trend, riferisce Ansa, sta evidenziando alcuni fattori chiave, non ultimo il fatto che la Generazione Z sia più attenta alle questioni ambientali e al modo in cui avranno impatto sul futuro. Inoltre, secondo un recente articolo di Vogue, ci sono il 56% di possibilità in più che la Gen Z abbia acquistato articoli fashion in-store negli ultimi tre mesi, e il 38% che abbia acquistato online nello stesso intervallo di tempo. Ma secondo Manhattan Associates un aggettivo per descrivere la Gen Z potrebbe essere Generazione Omnichannel, perché è la prima generazione completamente omnicanale, che frequenta, in egual modo, le vie dello shopping e le piattaforme social.

Il gruppo più critico e attratto dal second hand

Allo stesso tempo, la Generazione Z è considerata il gruppo più critico, con una visione dell’acquisto e del consumo molto diversa rispetto a quelle precedenti. Sono gli ultimi a essere entrati nel mondo del lavoro, quelli che avranno grande potere d’acquisto nei prossimi decenni, e questo significa che i brand dovranno guadagnarsi la loro fiducia. Inoltre, la frequenza di acquisto di nuovi articoli da parte della Gen Z è stata radicalmente influenzata dal mercato dei prodotti di seconda mano e vintage, un tipo di mercato che ha il 28% di possibilità in più per questa generazione.

Pagare come, quando e con quale dispositivo o piattaforma si desidera

Secondo PayPal, il 22% della Generazione Omnichannel ha utilizzato soluzioni BNPL (Buy-Now, Pay-Later) per acquistare articoli più cari e di miglior qualità. Dall’inizio della pandemia, infatti, il 123% ha utilizzato il BNPL rispetto a prima, rappresentando così la quota più elevata rispetto a tutte le altre generazioni. Inoltre, la Gen Z ha continuato ad adottare soluzioni di pagamento mobile, app e wallet più velocemente di qualsiasi altro gruppo di consumatori. L’aspettativa di poter pagare come, quando e con quale dispositivo o piattaforma desiderano è qualcosa che ormai fa parte delle loro abitudini d’acquisto. Di conseguenza, le tecnologie tradizionali di pagamento e Point-of-Sale (PoS) devono essere aggiornate e poter offrire queste diverse soluzioni.

Come conquistare la Generazione Omnichannel?

Un’azienda che voglia avere successo di fronte a una costante evoluzione deve quindi essere abbastanza agile non solo da introdurre diverse opzioni di acquisto, ma deve anche riuscire a supportarle con le funzionalità necessarie per soddisfare le aspettative di nuovi gruppi. La Generazione Omnichannel è la nuova potenza culturale ed economica nel contesto del retail, e continuerà a dettare il cambiamento culturale, le abitudini di acquisto, e molto altro nei prossimi 20 anni.

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 Un “Sistema nel pallone”: gli italiani e il calcio

Posted by Massimo Miceli on
 Un “Sistema nel pallone”: gli italiani e il calcio

Per gli italiani, tifosi o meno, il tanto amato sport nazionale non merita più di essere aiutato: è già particolarmente ricco e non necessita di misure da parte dello stato. Emerge dall’indagine dl titolo Un Sistema nel pallone, condotta da SWG per Inrete. Secondo il sondaggio, per 9 intervistati su 10 il calcio versa in condizioni difficili, e per la metà la crisi è così grave da necessitare di una vera e propria rivoluzione. Opinione condivisa soprattutto tra gli over 55 (56%) e tra chi non segue il calcio (58%). Solo il 7% ritiene che il sistema abbia imboccato la strada giusta per tornare a crescere, e il 4% che il comparto sia in salute.

È tempo di spending review per rilanciare il sistema

Di fronte alle difficoltà il monito che arriva è quello di ridurre gli sprechi, anche a scapito della competitività. Lo sostiene chi non ama il calcio (83%), ma anche gli appassionati (76%). Per il 78% il sistema dovrebbe concentrarsi a sistemare i conti per gettare basi solide per il futuro, percentuale che sale all’85% per gli over 55: indice di come il futuro del pallone non possa che passare da una razionalizzazione interna anziché da un indebitamento continuo. Pena, la disaffezione di una sempre più ampia fetta di popolazione. Infatti, solo il 22% vorrebbe si puntasse sull’aumento dei ricavi, investendo per essere competitivi anche in Europa

Decreto Crescita: il calcio non dovrebbe beneficiarne

Sul fronte ristori e aiuti il giudizio è implacabile: il sistema calcio non li merita. Dal 1 gennaio 2020 il mondo del pallone ha potuto beneficiare del Decreto Crescita, un regime di tassazione agevolata per lavoratori residenti all’estero, che ha favorito l’ingaggio di campioni di livello internazionale da parte dei club italiani. Secondo il 69% degli intervistati si tratta di una scelta sbagliata: anziché favorire il risparmio, questo provoca un ulteriore aumento degli ingaggi ai calciatori, e per il 47% il mondo del pallone è già troppo sprecone e non dovrebbe godere di questi aiuti. Solo gli under 35 (29%), ritengono che la misura debba valere per tutti i settori industriali, senza distinzioni.

Una voglia di cambiamento a 360 gradi

Da qui la necessità di riforme a lungo termine. Tra queste, l’incentivo agli investimenti per favorire la crescita dei giovani calciatori (91%), l’introduzione di un salary cap europeo per stabilire un tetto massimo agli stipendi dei calciatori (90%), la forte limitazione del potere dei procuratori (90%), la revisione del modello di concessione dei diritti tv (89%), lo sviluppo del calcio femminile (85%) e lo snellimento delle procedure della PA per favorire la costruzione di stadi di proprietà da parte dei club (81%). In questo scenario, quello dell’ingresso dei fondi di investimento rappresenta per 7 intervistati su 10 un fattore positivo, che potrà giovare al calcio italiano. Negli ultimi anni il sistema si è infatti aperto alle proprietà straniere e ai fondi dell’investimento, che ne potrebbero rilanciare la competitività.