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Lavoro: a gennaio occupazione in calo, -34mila unità rispetto a dicembre 2023

Posted by Massimo Miceli on
Lavoro: a gennaio occupazione in calo, -34mila unità rispetto a dicembre 2023

Rispetto a dicembre 2023, a gennaio 2024 gli occupati e i disoccupati diminuiscono, ma aumentano gli inattivi. Secondo le rilevazioni diffuse dall’Istat, il tasso di occupazione scende al 61,8% (-0,1%).
In particolare, l’occupazione cala tra gli uomini, gli under 34, i dipendenti a termine, gli autonomi (pari a -34mila unità), mentre cresce tra le donne e chi ha almeno 50 anni.  

Ma confrontando il trimestre novembre 2023-gennaio 2024 con quello precedente (agosto-ottobre 2023), l’Istat registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,4%, per un totale di 90mila occupati.
La crescita dell’occupazione, osservata nel confronto trimestrale, si associa alla diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-3,5%, pari a -67mila unità) e alla stabilità degli inattivi.

Ma in un anno +362mila occupati

A gennaio 2024 il numero di occupati supera quello di gennaio 2023 dell’1,6% (+362mila unità).
L’aumento coinvolge uomini, donne e tutte le classi d’età, a eccezione dei 35-49enni per effetto della dinamica demografica negativa. Il tasso di occupazione, che nel complesso è in aumento di 0,8%, sale anche in questa classe di età (+0,4%) perché la diminuzione del numero di occupati 35-49enni è meno marcata di quella della corrispondente popolazione complessiva.

Rispetto a gennaio 2023, calano sia il numero di persone in cerca di lavoro (-8,1%, -162mila unità) sia quello degli inattivi tra 15-64 anni (-1,3%, -157mila).

Il tasso di inattività sale al 33,3%

A gennaio 2024 la diminuzione del numero di persone in cerca di lavoro (-0,2%, -4mila unità) coinvolge gli uomini, i 15-24enni e i 35-49enni. Al contrario, la disoccupazione aumenta lievemente tra le donne e gli ultracinquantenni.

Il tasso di disoccupazione totale è stabile al 7,2%, quello giovanile sale al 21,8% (+0,2 punti).
La crescita del numero di inattivi (+0,5%, pari a +61mila unità, tra 15 e 64 anni) si osserva tra gli uomini e tra chi ha un’età compresa tra 15 e 49 anni. L’inattività diminuisce invece tra le donne e gli ultracinquantenni. Ma il tasso di inattività sale al 33,3% (+0,2 punti).

Inflazione: a febbraio si attesta +2,4%

L’Istat ha diffuso anche le stime preliminari sull’inflazione, da cui emerge che come nel mese precedente, anche a febbraio l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua.

La stabilizzazione del ritmo di crescita dei prezzi al consumo si deve principalmente all’affievolirsi delle tensioni sui prezzi dei Beni alimentari, non lavorati e lavorati, i cui effetti compensano l’indebolimento delle spinte deflazionistiche provenienti dal settore dei beni energetici.
In particolare, riporta Adnkronos, si attenua la flessione su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici, che a febbraio risale al -17,3% (gennaio -20,5%). Si riduce il tasso di crescita in ragione d’anno dei prezzi del ‘carrello della spesa’ (+3,7%), mentre l’inflazione di fondo si attesta al +2,4% (gennaio +2,7%).

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Saldi invernali: cosa comprano gli italiani nel 2024?

Posted by Massimo Miceli on
Saldi invernali: cosa comprano gli italiani nel 2024?

Il primo grande appuntamento commerciale dell’anno, uno tra i più attesi dai consumatori e dalle consumatrici, è iniziato mercoledì 3 gennaio in Valle d’Aosta e venerdì 5 gennaio nel resto d’Italia. Per i saldi invernali di questo 2024 quattro italiani su dieci hanno già pianificato qualche acquisto, per un budget medio previsto di 267 euro, anche se il 38% prevede di spendere meno di 150 euro.

Secondo il sondaggio di Ipsos e Confesercenti integrato dalla survey condotta sulle Pmi associate a Fismo (Associazione dei negozi di moda Confesercenti), il 56% acquisterà però soltanto in caso di offerte interessanti, e il cambiamento climatico complica ulteriormente la situazione per i commercianti. 

Il profilo di chi compra

Le temperature eccezionalmente miti registrate tra ottobre e dicembre hanno quasi dimezzato (-46%) gli acquisti delle collezioni autunno-inverno, e i negozi arrivano ai saldi 2024 senza avere praticamente avuto l’occasione di venderle a prezzo pieno.

In ogni caso, il 40% degli italiani dichiara di avere già individuato cosa comprare e di avere proceduto all’acquisto entro domenica 7 gennaio, 

Una polarizzazione confermata dal fatto che la maggior parte dei consumatori e delle consumatrici (56%) comprerà solo di fronte a un’offerta convincente. Una quota in crescita rispetto agli scorsi anni, segnale di maggiore attenzione da parte delle famiglie L’onda lunga dell’inflazione pesa ancora sui bilanci, e l’acquisto in saldo diventa meno impulsivo e più ragionato.

Calzature, intimo, gonne e pantaloni

Le persone intenzionate ad acquistare durante i saldi cercheranno soprattutto calzature (58%), seguite da maglioni e felpe (56%).
La classifica dei desideri degli italiani per i saldi invernali 2024 prosegue con l’intimo (34%), gonne o pantaloni (33%), magliette, canottiere e top (29%), camicie e camicette (27%).

Sotto la media, invece, le indicazioni per capispalla (21%, nel 2023 27%). Il 19% cercherà una borsa, mentre il 17% un abito/completo, il 15% si orienterà invece sulla biancheria per la casa, e il 13% su foulard, cappelli e altri accessori.
Il 12% segnala invece iteresse per l’acquisto di cinture e il 10% per articoli di piccola pelletteria, portafogli e portacarte.

In merito al canale di acquisto, i negozi fisici mantengono saldamente la preferenza dei consumatori. Li sceglie infatti l’83% (contro il 51% che prevede di rivolgersi all’online). Convincente è la sensazione di avere più garanzie presso un punto vendita fisico (47%).

L’impatto del cambiamento climatico

A partecipare alle vendite di fine stagione 2024 sarà l’85,5% delle medie e piccole imprese del commercio moda. Il 92,1% ritiene però che la data di inizio, appena una manciata di giorni dopo l’inizio ‘astronomico’ dell’inverno, il 21 dicembre, sia troppo anticipata.

Una percezione fortemente acuita quest’anno, dopo un autunno e un inizio inverno dalle temperature più miti del normale. Ma un effetto collaterale del cambiamento climatico è l’incidenza sulle vendite del 96% delle imprese. Il calo medio delle vendite dei prodotti delle collezioni autunno-inverno è pari al -46%. 

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Viva Natale, anzi che stress!

Posted by Massimo Miceli on
Viva Natale, anzi che stress!

Per la maggior parte degli italiani (83%) le festività natalizie sono un momento felice, e alcuni ne sono letteralmente entusiasti (38%). Ma un’ampia fetta di italiani (78%) a Natale almeno una volta nella vita ha vissuto sensazioni di pesantezza, e ad alcuni capita spesso (32%). Addirittura, a più di 1 italiano su 10 (11%), capita ogni volta che arriva il mese di dicembre.
Ma cosa impensierisce i nostri connazionali?

In vista del periodo più luccicante, e per alcuni, stressante, dell’anno, Everli ha indagato come percepiscono il Natale gli italiani. E ha scoperto che se i motivi di stress sono molteplici, l’ansia viene generata soprattutto dalle attività legate a dover pensare a preparare, cucinare e allestire pranzi e cene a casa propria.

A tavola con i parenti: a pensarci manca il fiato

Oltre 1 italiano su 4 (27%) si sente mancare il fiato perché durante i giorni natalizi è coinvolto a tavola con parenti da cui non può sottrarsi, mentre 1 su 10 si sente sotto esame come cuoco e padrone di casa 
Nonostante l’agitazione, o forse proprio a causa di quella, quasi la metà degli italiani (49%) non delega l’organizzazione e la realizzazione dei pasti.

Dunque, tra i maniaci del controllo (14%) e chi prova ad affidare qualche attività ad altri (35%), gli italiani non accennano ad abbassare la guardia.
Andrebbe meglio se i pasti venissero ideati in modo che ogni commensale portasse qualcosa di già cucinato (22%), e ancora meglio, se partecipassero da semplici invitati in case altrui e non dovessero occuparsi di nulla (28%).

L’ansia sale al supermercato

L’elenco di cose da fare è corposo, e va dalla pianificazione del menu alla lista della spesa fino al lucidare le stoviglie e creare decorazioni per la tavola.
Tra le voci della to-do-list alcuni task più di altri sono considerati snervanti. Più di 1 italiano su 10 (15%) deve respirare profondamente prima di entrare al supermercato, perché è già in ansia nella ricerca di parcheggio.

La tensione cresce (56%) quando è il momento di districarsi tra la folla, nelle corsie del super, ma è fonte di stress anche la ricerca di prodotti solitamente non usti durante l’anno (13%), e la scelta tra quelli proposti (12%).
Alla cassa, poi, l’obiettivo di pagare e andarsene in fretta è una chimera: stare fermi in coda è un momento di nervosismo per 1 italiano su 3 (33%). Ma neanche all’uscita la tensione si placa, perché si farebbe volentieri a meno di trasportare le molteplici e pesanti buste della spesa (8%).

Come allentare la tensione?

Secondo gli italiani un modo per allentare la tensione ci sarebbe.
Molti intervistati (78%) ritengono che semplificare la gestione della spesa durante le festività potrebbe contribuire a rendere il periodo meno stressante (35%), e di conseguenza, più piacevole.

L’energia e il tempo guadagnati si investirebbero nella sfera personale, regalandosi momenti per ricentrarsi (48%) e coltivare i propri hobby e interessi (31%).
E solo in seconda battuta per nutrire le relazioni sociali, trascorrendo più tempo in famiglia (40%) o con gli amici (26%).

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Comfort food: i preferiti per gli italiani sono pizze e focacce

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Comfort food: i preferiti per gli italiani sono pizze e focacce

Cos’è per gli italiani il comfort food? Quale cibo per loro è considerato più consolatorio?
Risponde una ricerca condotta da Bva Doxa per il food delivery Just Eat: il concetto di comfort food per il 40% degli italiani è legato a piatti familiari, e per il 38% a quelli che possono migliorare il nostro stato d’animo.

E quali sono questi cibi? Per il 60% dei nostri connazionali si tratta di pizza e focacce, ma anche dolci (40%), gelati (38%) e l’immancabile cioccolato, cibo consolatorio per eccellenza, ma citato ‘solo’ dal 32% degli intervistati.
Quanto alle emozioni più comuni che si provano dopo aver gustato il proprio cibo preferito, per gli italiani riguardano soprattutto una sensazione di gratificazione (44%) e felicità (41%).

Ordinare cibo a domicilio: un’abitudine rilassante e soddisfacente

L’indagine mette in risalto in particolare come l’atto di ordinare cibo a domicilio sia spesso associato a emozioni positive, come soddisfazione e relax.

In particolare, lo studio ha rilevato come oltre il 90% degli italiani affermi di ordinare un piatto basandosi su emozioni o ricordi positivi.
Inoltre, l’80% degli italiani si dice interessato a provare un alimento ‘progettato’ per migliorare l’umore.

Il cibo e le nuove abitudini tra i social e la sostenibilità

Non è tutto. I risultati dello studio segnalano poi che il 70% degli italiani dichiari di aver provato almeno una volta a replicare ricette o piatti che hanno visto realizzare da influencer o personaggi famosi sui canali social, mentre il 50% ‘segue’ almeno un ristorante sui social network.

Tra i dati emerge però anche l’importanza da padre degli italiani della provenienza delle materie prime e dell’uso di prodotti locali e a chilometro zero (44%), oltre all’adozione di iniziative anti-spreco (42%).
Sono questi gli elementi chiave per definire un ristorante come sostenibile.

La Gen Z è pronta a sperimentare

Più nel dettaglio, il 65% degli intervistati si dice disposto a pagare di più per una consegna più sostenibile, specialmente tra i membri della Generazione Z. Ma in Italia la ricerca ha rilevato anche ‘un forte interesse’ per la sperimentazione di sapori nuovi e intensi (22%), ancora una volta, soprattutto tra i giovani (25-34 anni). Sperimentazione che resta però spesso associata a un forte legame con i piatti familiari (36%).

L’indagine Bva Doxa / Just Eat è relativa alla settima edizione della Mappa del cibo a domicilio in Italia, ed è finalizzata a scoprire quali sono i nuovi driver che plasmeranno il mondo gastronomico e del food delivery. Alla ricerca ha collaborato anche Wgsn, l’istituto di ricerca sulle tendenze dei consumi.

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Lavoro: italiani tra i più scontenti d’Europa

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Lavoro: italiani tra i più scontenti d’Europa

Solo 47 occupati italiani su 100 dichiarano elevati livelli di soddisfazione del proprio lavoro, 7 punti percentuali sotto la media europea. Gli italiani sono distanti anni luce soprattutto dalle percentuali del 71% e oltre di Paesi come Finlandia, Islanda, Olanda, Norvegia, Belgio. Sono meno contenti di noi solo greci, serbi, polacchi, cechi e spagnoli. Insomma, gli occupati italiani sono in fondo alla classifica della European social survey, l’indagine che mette a confronto 30 Paesi membri dell’UE ed extra Ue (oltre a Israele) sulla soddisfazione per il proprio lavoro, presentata a Roma dall’Inapp.

L’insoddisfazione cresce se diminuisce la qualificazione  

La quota di occupati italiani che dichiarano di essere altamente o mediamente soddisfatti si riduce ancor di più se i livelli di istruzione non sono elevati, i contratti di lavoro temporanei, gli inquadramenti professionali a bassa qualificazione, e se la cittadinanza non è italiana.
“Già prima dell’evento pandemico la possibilità per i lavoratori di scegliere il luogo dove prestare la propria attività lavorativa era meno diffusa in Italia rispetto ad altri Paesi. Con la crisi pandemica questa si è estesa, specialmente in alcuni settori e per gli occupati a più alta qualifica professionale – afferma il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp -, ma notevoli fasce di occupazione sono rimaste escluse. Anche oggi la diseguaglianza nella possibilità di fruire di tale possibilità tra le diverse categorie di lavoratori costituisce un problema”.

La flessibilità oraria è un criterio significativo

“Come per la maggior parte dei Paesi presi in esame, anche in Italia la soddisfazione lavorativa dipende ormai in modo significativo dalla flessibilità oraria e dalla possibilità di scelta del luogo della prestazione lavorativa – continua Fadda -. Due dati dell’indagine lo dicono chiaramente: la quota di occupati altamente soddisfatti sale dal 47% al 68% (+21%) nel caso in cui si possa beneficiare di flessibilità oraria. Lo stesso vale per tutti i Paesi analizzati, la cui media passa dal 54% al 69%. Al contrario, la quota di altamente soddisfatti scende al 44,6% nel caso in cui non ci sia la possibilità di scegliere il luogo dove svolgere il proprio lavoro”.

I lavoratori nordeuropei sono più autodeterminati

Tuttavia, in Italia la quota di occupati che possono avvalersi di tale autonomia risulta ancora molto limitata. Solo il 15,7% degli occupati italiani può scegliere inizio e fine del proprio orario di lavoro (rispetto al 20,6% medio degli altri Paesi) e solo il 30,8% può scegliere il luogo di lavoro (contro il 42,3%). Più penalizzati risultano i lavoratori con basso livello di istruzione, bassa professionalità e contratti non stabili. La maggior possibilità di autodeterminazione dei luoghi e dei tempi per svolgere il proprio lavoro quotidiano possono essere interpretate come sintomi di autonomia sul lavoro.
Sotto questo punto di vista, riporta Adnkronos, l’Italia, insieme ai Paesi dell’Europa dell’Est e mediterranei, è tra quelli in cui vi è maggiore rigidità. All’estremo opposto i Paesi del Nord Europa e dell’Europa continentale.

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Gli italiani promuovono la riforma del voto in condotta

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Gli italiani promuovono la riforma del voto in condotta

La proposta annunciata dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sul voto in condotta incontra il favore di tre italiani su quattro. Al 76% degli intervistati dal sondaggio condotto da Quorum/YouTrend per Sky TG24 piace infatti l’idea di dare maggior peso al voto in condotta, ovvero, che questo venga considerato tra i crediti necessari per sostenere l’esame di maturità, e che in caso di voto pari a 6 scatti il debito scolastico in educazione civica. Insomma, gli italiani promuovono la riforma del voto in condotta, anche se il gradimento cambia leggermente in funzione delle fasce di età.

Promossa anche la figura del “docente tutor”

Tra gli italiani con età compresa tra 18 e 34 anni è favorevole solo il 65% degli intervistati contro il 18% che si dichiara non a favore, mentre nella fascia anagrafica tra 35 e 54 anni la percentuale di chi è d’accordo sale all’82% (i contrari sono il 12%). Nella fascia da 55 anni in su il 77% dice sì contro il 13% che dice no. Ma a incontrare il favore di due su tre italiani è anche la figura del ‘docente tutor’, introdotta da quest’anno con il compito di aiutare gli studenti nel processo di orientamento. Il 66% degli intervistati si dice infatti favorevole, mentre i contrari sono il 21%.  Anche in questo caso, le percentuali cambiano leggermente in base alle fasce d’età. Tra chi ha tra 18 e 34 anni l’idea piace al 63% (contrari il 24%), tra i 35-54 anni il 67% è favorevole ed è contrario il 21%, e tra chi ha oltre 55 anni l’idea piace al 66%, mentre il 20% è contrario.

La novità convince in maniera trasversale l’elettorato

In ogni caso, la novità sulla scuola sembra convincere in maniera traversale l’elettorato di entrambi gli schieramenti. La proposta del voto in condotta piace infatti all’84% dell’elettorato di FdI e all’87% dell’elettorato di altri partiti di centrodestra, oltre, rispettivamente, al 75% e 72% dei votanti del M5s e del Pd. L’idea del docente tutor è invece apprezzata dal 67% degli elettori di FdI, dall’80% dei votanti di altri partiti di centrodestra, e rispettivamente dal 77% e dal 68% dell’elettorato del M5s e del Pd, riporta Italpress.

Con il 5 scatta la bocciatura automatica

La riforma del voto in condotta, pensata come un elemento della stretta contro il bullismo, prevede che la valutazione sul comportamento sia espressa in decimi e che il 5, contemplato per comportamenti gravi come commettere reati, violenze e ripetute violazioni del regolamento, contempli la bocciatura automatica. Inoltre, il voto in condotta torna anche alle medie, ma è soprattutto alle superiori che ha carattere più stringente.

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Affidabilità e competenza: gli italiani promuovono i farmacisti e le farmacie

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Affidabilità e competenza: gli italiani promuovono i farmacisti e le farmacie

È quanto emerge dall’indagine Ipsos, condotta per la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI): di fronte al nuovo scenario post pandemico evolve il ruolo del farmacista e la farmacia diviene sempre più un erogatore di servizi per la popolazione. Quasi otto italiani su dieci (77%) hanno fiducia nel farmacista e lo considerano un professionista competente e accessibile al quale rivolgersi per la gestione della propria salute. Al contempo, i farmacisti sono consapevoli (86%) dell’evoluzione del proprio ruolo, e della fiducia che ispirano alla maggioranza dei cittadini, sebbene non manchi qualche criticità.

Un presidio di assistenza sanitaria sul territorio

Il farmacista si considera, ed è, una figura di riferimento per il cittadino, mentre la farmacia è diventata un presidio di assistenza sanitaria sul territorio, offrendo anche innumerevoli servizi che vanno al di là della semplice dispensazione di farmaci e prodotti per il benessere e la salute.
Questa evoluzione rappresenta, per la maggior parte dei farmacisti, una valorizzazione del proprio ruolo. Ma non è priva di difficoltà: prima fra tutte l’eccessiva burocrazia.
Lo studio Ipsos registra infatti alcune criticità o sfide che oggi il farmacista deve affrontare, anche alla luce del ruolo sempre più strategico che gli viene riconosciuto all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Qualità dell’assistenza e continuità del servizio

Secondo la ricerca il 93% degli italiani ha una farmacia di riferimento, scelta motivata da alcuni aspetti principali: la fiducia (37%), la conoscenza del professionista (28%), la vicinanza (57%) e la soddisfazione per il servizio offerto (42%). A ‘legare’ i cittadini al farmacista sono, inoltre, le conoscenze in campo farmaceutico, la competenza nel consigliare la soluzione più appropriata alle proprie esigenze di cura e la qualità dell’assistenza, garantita dalla disponibilità e dalla continuità del servizio.
La conferma dell’evoluzione del ruolo del farmacista oggi arriva però anche dai desideri degli italiani rispetto ai servizi che vorrebbero fossero erogati o potenziati nella rete delle farmacie territoriali. In particolare, prenotazione di visite specialistiche ed esami (26%), servizi infermieristici in farmacia (19%) e a domicilio (17%), vaccinazione e analisi di primo livello, come la misurazione di pressione e colesterolo (18%).

Verso il modello della Farmacia dei Servizi

Secondo gli italiani, dunque, la farmacia del futuro dovrà essere sempre più un luogo dedicato alla prevenzione e alla presa in carico, oltre alla tradizionale attività di dispensazione del farmaco.
Un’aspettativa che si sposa perfettamente con il modello della Farmacia dei Servizi la cui piena realizzazione, (anche attraverso il potenziamento della telemedicina e del deblistering dei farmaci, indicati dai farmacisti come due servizi chiave per migliorare l’assistenza sul territorio), consentirà di andare incontro ai bisogni dei cittadini e alle esigenze di efficientamento del SSN.
Sul fronte della prevenzione, l’80% degli italiani si dichiara favorevole a farsi vaccinare dal farmacista e valuta positivamente la possibilità che la farmacia diventi un ‘hub vaccinale’ in cui effettuare anche i richiami dei vaccini obbligatori.

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Lavoro: un mercato mobile e con sempre meno giovani: -7,6% in dieci anni

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Lavoro: un mercato mobile e con sempre meno giovani: -7,6% in dieci anni

I lavoratori invecchiano, ma quelli giovani in Italia sono diventati una rarità. Nel decennio 2012-2022 gli occupati 15-34enni sono diminuiti del 7,6%, quelli con 35-49 anni del 14,8%, mentre i 50-64enni sono aumentati del 40,8% e gli over 65 del 68,9%.
Come esito della radicale transizione demografica, si stima che nel 2040 le forze lavoro saranno diminuite dell’1,6%. Ma intanto nei primi nove mesi del 2022 ogni giorno in media 8.500 italiani si sono dimessi, +30,1% rispetto allo stesso periodo del 2019, e ogni giorno, in media, 49.500 italiani hanno iniziato un nuovo lavoro (+6,2%). È quanto emerge dal 6° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon e il contributo di Credem, Edison e Michelin.

Precarietà e part-time involontario 

La ricerca di un’occupazione migliore per i giovani significa meno precaria ed è la bussola che orienta decisioni e comportamenti.
La fascia della precarietà è infatti ancora ampia: complessivamente, il 21,3% dei lavoratori italiani è occupato con forme contrattuali non standard, e la percentuale oscilla dal 27,9% delle lavoratrici (16,5% uomini) al 39,3% dei lavoratori 15-34enni.
Tra gli occupati giovani, la percentuale dei contratti non standard raggiunge il 46,3% tra le femmine (34,2% maschi).
Il part-time involontario, con meno ore lavorate e quindi retribuzioni più basse, coinvolge il 10,3% dei lavoratori italiani: 16,7% delle donne (5,7% uomini) e 13,9% dei 15-34enni. Tra gli occupati giovani, la percentuale del part-time involontario raggiunge il 20,9% tra le femmine (9,0% maschi). 

Cambi lavoro chi può

Se potesse, il 46,7% degli occupati italiani lascerebbe l’attuale lavoro: il 50,4% dei giovani, il 45,8% degli adulti, il 58,6% degli operai, il 41,6% degli impiegati e solo il 26,9% dei dirigenti. Anche perché il 64,4% degli occupati dichiara di lavorare solo per ricavare i soldi necessari per vivere, in particolare, questo vale per il 69,7% dei giovani e per il 75,6% degli operai.
Quali sono le ragioni dell’inquietudine nel rapporto con il proprio lavoro? Difficoltà di carriera (65,0%), retribuzioni insoddisfacenti (44,2%, giovani 53,0%), e paura di perdere il posto di lavoro (42,6%). Si tratta di una precarietà attuale e concreta, più tangibile di quella preconizzata dagli annunciati rivolgimenti legati all’innovazione tecnologica.

Sì a smartworking se alternato al lavoro in presenza

Lavora da remoto il 12,2% degli occupati (4,9% 2019). Il lavoro da casa piace perché consente una migliore conciliazione tra vita privata e lavoro (81,3%), riduce lo stress legato al lavoro in presenza (74,8%), permette di lavorare in contesti migliori (74,1%,), migliora la qualità della vita (70,4%). Ma il giudizio è positivo solo se viene alternato con giorni di lavoro in presenza (72,4%), perché non è vero che in smartworking si lavora meno (71,8%), e c’è il rischio che si eroda il senso di appartenenza aziendale (54,4%). In merito al welfare aziendale, se le integrazioni del reddito sono largamente apprezzate, i lavoratori si attendono anche il supporto al raggiungimento di una più alta qualità della vita.

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Gli italiani e la famiglia. Fattori di crisi e sfida denatalità

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Gli italiani e la famiglia. Fattori di crisi e sfida denatalità

Se oltre sette italiani su dieci ritengono la denatalità un problema urgente, causato principalmente da stipendi bassi, precarizzazione del lavoro, mancanza di sostegni pubblici e di servizi, il 64% della popolazione definisce la famiglia come un’unione tra due persone, che decidono di convivere per perseguire un progetto di vita comune, a prescindere che siano di sesso diverso o dello stesso sesso. Una percentuale che aumenta al 73% tra gli under30. Sono alcune evidenze emerse dal report di FragilItalia, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos, dal titolo ‘Famiglia. Percezione, ruolo e fattori di crisi. La sfida della denatalità’. La ricerca è stata condotta in occasione della Giornata Internazionale della Famiglia, che si celebra il 15 maggio.

Crisi demografica, ma 7 under30 su 10 vorrebbero almeno due figli 

La denatalità è un elemento centrale della crisi demografica che investe il Paese, con effetti negativi sulla vita economica e sociale. Un problema avvertito come urgente dal 74% degli italiani. E seppur con un livello di urgenza inferiore rispetto alla media del totale, anche dal 66% degli under30, per i quali ciò si scontra con il desiderio di avere figli. Sette su dieci ne vorrebbero almeno due. 
Le principali cause del problema vengono indicate negli stipendi bassi e nell’aumento del costo della vita (70% vs 63% under30), nell’instabilità lavorativa e nella precarizzazione del lavoro (63% vs 56% under30), nella mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere i figli (59% vs 52% under30), nella mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti (57% vs 45% under30) e dalla paura di perdere il posto di lavoro (56%, percentuale che aumenta al 61% tra le donne).

Famiglia tradizionale e fragilità dei legami affettivi

La visione più tradizionale di famiglia, concepita come l’unione tra uomo e donna, uniti in matrimonio civile/religioso, è appannaggio del 22%, mentre soltanto il 14% la considera come l’unione tra due persone dello stesso sesso. Riguardo alle funzioni della famiglia, il 49% indica l’educazione dei figli (55% uomini), il sostentamento e il mutuo aiuto tra i componenti (47%), e il supporto psicologico reciproco (44%, 53% donne). Tra le cause di fragilità dei legami affettivi, ai primi posti si collocano egoismo, mancanza di comunicazione, difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità, scarso spirito di sacrificio e incapacità di affidarsi all’altro.

Per i più giovani il supporto psicologico reciproco è prioritario

Tra la fascia più giovane la visione più tradizionale della famiglia, come unione in matrimonio tra uomo e donna, scende dal 22% al 12%., mentre in riferimento alle funzioni della famiglia, gli under30 collocano al primo posto il supporto psicologico ai componenti del nucleo (58%), al secondo l’educazione dei figli (46%) e al terzo il sostentamento e il mutuo aiuto (37%). Difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità e insicurezza guidano la classifica delle principali fragilità dei legami affettivi per gli under 30, che rispetto alla media, hanno più paura del tradimento.

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UE: dal 25 agosto scatta la sorveglianza per 19 Big Tech

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UE: dal 25 agosto scatta la sorveglianza per 19 Big Tech

“L’intera logica delle nostre regole è garantire che la tecnologia serva le persone e le società in cui viviamo, non il contrario”, dichiara Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione Ue con delega al digitale. Dal 25 agosto prossimo 19 Big Tech saranno messe sotto sorveglianza dall’Unione Europea nell’ambito del Digital Services Act (DSA). Obiettivo, obbligare le Big Tech a rispettare gli utenti online e la loro privacy. Le Big Tech coinvolte sono 17 piattaforme web e 2 motori di ricerca che raggiungono almeno 45 milioni di utenti attivi mensili nel territorio della Ue.

Piattaforme e motori di ricerca più trasparenti e responsabili 

In particolare, si tratta di Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Booking.com, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter, Wikipedia, YouTube, Zalando, oltre a Bing e Google Search.
“Il Digital Services Act porterà una significativa trasparenza e responsabilità delle piattaforme e dei motori di ricerca e darà ai consumatori un maggiore controllo sulla loro vita online – ha aggiunto Margrethe Vestager -. Le designazioni fatte oggi sono un enorme passo avanti per far sì che ciò accada”. 

Inizia il conto alla rovescia per la regolamentazione digitale

“Oggi è il D(SA)-Day per la regolamentazione digitale – ha sottolineato Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato interno -. Inizia il conto alla rovescia affinché 19 grandissime piattaforme online e motori di ricerca rispettino pienamente gli obblighi speciali che il Digital Services Act impone loro”.
A seguito della loro designazione, infatti, le 19 società ora dovranno ottemperare, entro quattro mesi, a tutti i nuovi obblighi previsti dal Digital Services Act. Obblighi che mirano a responsabilizzare e proteggere gli utenti online, compresi i minori.

Stop alla pubblicità mirata basata sulla profilazione dei minori

Le piattaforme dovranno inoltre informare gli utenti su chi sta promuovendo gli annunci pubblicitari, e dovranno garantire un elevato livello di privacy, sicurezza e incolumità dei minori. Tanto che non sarà più consentita la pubblicità mirata basata sulla profilazione dei bambini.Tra gli obblighi previsti, riferisce Italpress, rientra anche il divieto di visualizzare annunci pubblicitari basati su dati sensibili dell’utente, come l’origine etnica, le opinioni politiche o l’orientamento sessuale. Inoltre, le piattaforme e i motori di ricerca ‘incriminate’ dovranno adottare misure per affrontare i rischi legati alla diffusione di contenuti illegali online e gli effetti negativi sulla libertà di espressione e di informazione. E dovranno mettere in atto misure di mitigazione, ad esempio, per affrontare la diffusione della disinformazione.