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Sostenibilità e cybersicurezza, le due facce della stessa medaglia

Posted by Massimo Miceli on
Sostenibilità e cybersicurezza, le due facce della stessa medaglia

La Fondazione per la Sostenibilità Digitale, insieme a Gyala, ha sviluppato una  ricerca dal titolo ‘Sostenibilità e Cyber Security’, che ha evidenziato le interconnessioni tra questi due temi cruciali.

In un’epoca in cui il digitale si intreccia con ogni aspetto della vita, diventa fondamentale comprendere come ogni azione online possa avere ripercussioni in un mondo offline i cui contorni sono sempre meno netti. “Questa realtà incrementa esponenzialmente quella che viene definita superficie d’attacco dei sistemi informatici, rendendo la cybersecurity una componente essenziale di ogni strategia di digitalizzazione – commenta Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale -. Allo stesso tempo, ci troviamo di fronte all’ineludibile necessità di agire, nella gestione di tali sistemi e grazie a tali sistemi, in modo sostenibile: una necessità che coinvolge ogni livello della società, dalle aziende ai governi fino ai singoli cittadini”.

In che modo si intrecciano due temi cruciali della modernità

La ricerca analizza come la sicurezza online possa convergere con gli obiettivi di sostenibilità, abbracciandone gli aspetti ambientali, economiche e sociali in due dimensioni. Da una parte, facendo della sicurezza informatica un elemento atto a garantire la sostenibilità, ad esempio, di infrastrutture critiche, reti di distribuzione, servizi al cittadino) dall’altra, guardando a essa come qualcosa da gestire secondo criteri di sostenibilità. Si pensi, ad esempio, alla potenziale invasività degli strumenti di monitoraggio dei comportamenti degli utenti, o alle modalità di conservazione dei dati sensibili.

Lo studio si basa sulle opinioni di oltre 100 professionisti del settore, da esperti in sicurezza informatica a docenti universitari, passando per ricercatori e responsabili dell’innovazione.

Gli ambiti di maggiore impatto

Sono tre gli ambiti di maggiore importanza, ognuno dei quali incide significativamente su più di metà degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile definiti da Agenda 2030.
Il primo riguarda l’’rmonizzazione tra la dimensione digitale dei sistemi (IT) e quella fisica, definita OT, da ‘operational technology’.

In altri termini, sempre più spesso sistemi informatici governano apparati fisici. È necessario quindi sviluppare processi di integrazione tra questi due mondi. Questa sinergia è considerata essenziale per la tutela dell’ambiente, la resilienza delle infrastrutture critiche e il loro valore economico, con un impatto notevole nel settore sanitario e in quello energetico. In particolare, per la gestione delle smart grid e delle fonti rinnovabili.

Anche proteggere i dati personali è un obbligo etico

Il secondo tema critico è la privacy. In un’ottica di sostenibilità, proteggere i dati personali diventa un obbligo etico, riferisce AGI, e una leva per promuovere pratiche rispettose dell’individuo.
La ricerca evidenzia una forte convergenza di opinioni sull’importanza di tutelare la privacy, soprattutto in specifici settori, come quello della sanità.

Si pone poi l’accento sulla Sovranità Digitale, ovvero come gli Stati gestiscono e regolano le tecnologie e i servizi digitali utilizzati a livello nazionale.
La cybersicurezza si configura come un elemento critico in questo contesto, sottolineando l’importanza di investire in soluzioni di cybersecurity libere da influenze esterne.

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Google: ok a eliminare tutti i dati personali raccolti nelle navigazioni “in Private”

Posted by Massimo Miceli on
Google: ok a eliminare tutti i dati personali raccolti nelle navigazioni “in Private”

Google ha accettato di distruggere o rendere anonimi miliardi di record di dati di navigazione web raccolti mentre gli utenti utilizzavano la navigazione in ‘Incognito’.
La decisione arriva in seguito a una proposta di accordo per una class action, presentata lunedì 1 aprile, che impone a Google anche di dettagliare il modo in cui raccoglie le informazioni con questa modalità di navigazione, oltre a limitare la raccolta di dati futura.

Se l’accordo verrà approvato da un giudice federale della California, potrebbe interessare 136 milioni di utenti. 
Valutato in 5 miliardi di dollari nell’archiviazione di lunedì, l’ammontare della proposta è stato calcolato determinando il valore dei dati che Google ha immagazzinato e sarà costretta a distruggere, oltre ai dati che le sarà impedito di raccogliere in futuro.

Qualsiasi dato che non venga cancellato dovrà essere reso anonimo

La causa del 2020, Brown contro Google, è stata avviata da titolari di account Google che accusavano l’azienda di tracciare illegalmente il loro comportamento attraverso la funzione di navigazione privata Incognito. 
Ora Google dovrà occuparsi dei dati raccolti in modalità di navigazione privata fino a dicembre 2023, e qualsiasi dato che non venga esplicitamente cancellato dovrà essere reso anonimo.

“Il presente accordo garantisce una reale responsabilità e trasparenza dal più grande collettore di dati al mondo – scrivono i querelanti – e segna un passo importante verso il miglioramento e il rispetto del nostro diritto alla privacy su Internet”.

“Una causa legale priva di fondamento”

José Castañeda, portavoce di Google, ha dichiarato che l’azienda è “lieta di risolvere questa causa legale, che abbiamo sempre ritenuto priva di fondamento”.
Sebbene i querelanti abbiano valutato la proposta di accordo in 5 miliardi di dollari, originariamente richiesti come danni, Castañeda ha affermato che “non riceveranno nulla”. L’accordo non prevede infatti danni per la classe, sebbene gli individui possano presentare richieste.

“Non associamo mai i dati agli utenti quando utilizzano la modalità Incognito –  ha aggiunto -. Siamo felici di cancellare vecchi dati tecnici che non sono mai stati associati a un individuo e che non sono mai stati utilizzati per alcuna forma di personalizzazione”.

Ma gli utenti possono ancora presentare richieste di risarcimento

Parte dell’accordo include modifiche al modo in cui Google divulga i limiti dei suoi servizi di navigazione privata, cambiamenti che l’azienda ha già iniziato a implementare su Chrome.

Google ha inoltre accettato per cinque anni, riporta Adnkronos, di permettere agli utenti di bloccare i cookie di terze parti per impostazione predefinita in modalità Incognito, impedendo così a Google di tracciare gli utenti su siti esterni mentre utilizzano la navigazione privata.
Gli utenti possono ancora presentare richieste di risarcimento danni presso il tribunale statale della California, secondo i termini dell’accordo. Finora, sono state presentate 50 richieste.

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Mindset coaching: un mercato da 20 miliardi di dollari

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Mindset coaching: un mercato da 20 miliardi di dollari

Non solo le aziende, ma anche le singole persone cercano il supporto di un life coach per migliorare la qualità della vita, sia in ambito personale sia professionale.
Una disciplina presente negli Stati Uniti già negli anni ’60, a partire dagli anni ’90 si è diffusa anche in Italia, e secondo PwC a fine 2022 il settore del coaching ha raggiunto nel mondo un valore di 20 miliardi di dollari.

Secondo il Global Coaching Study 2023 di ICF, International Coaching Federation, nel 2022 il numero dei coach ha superato in tutto il mondo quota 100mila, il 54% in più rispetto al 2019 (Europa occidentale +51%).
Ma quanto costa un life coach? In Europa la tariffa media per un’ora di coaching è 277 dollari, mentre il numero di coach attivi è 30.800.

Il ruolo del coach si evolve grazie a smartworking ed e-learning

Oggi i professionisti che eccellono sono capaci di destreggiarsi tra le piattaforme web e social, distinguendosi per competenza e versatilità.
L’era digitale richiede coach non solo costantemente aggiornati, ma anche specializzati in settori specifici, come miglioramento della vita personale, professionale, l’ottimizzazione delle dinamiche interne o focalizzati su target specifici, con un focus su aspetti diversi della crescita e del benessere.

In ambito aziendale, emerge sempre più l’importanza di migliorare lo spirito di gruppo e l’engagement. E l’uso di valutazioni psicometriche per rafforzare la comunicazione e la collaborazione all’interno dei team si sta dimostrando fondamentale.

Specializzazione e tecnologia i pilastri del coaching di successo 

Soprattutto nel settore sanitario si evidenzia un interesse crescente per i coach specializzati nella prevenzione o recupero da burnout di medici, infermieri e oss, utilizzando tecniche di mindfulness.

“In un’epoca digitale che continua a ridisegnare il panorama aziendale, la specializzazione e l’approfondimento tecnologico diventano i pilastri portanti del coaching di successo – commenta Alessandro Da Col, Mindset ed Executive Coach e co-fondatore, insieme ad Alessandro Pancia, dell’Accademia Crescita Personale Meritidiesserefelice -. Favorire una cultura aziendale che sa adattarsi e reagire è fondamentale in un mondo in rapido cambiamento. Il lavoro ormai si intreccia con l’identità personale, ma è cruciale mantenere un equilibrio: il coaching aiuta a differenziare e bilanciare gli aspetti lavorativi e personali, permettendo di realizzarsi pienamente”.

“Valorizzare il benessere integrale per costruire team coesi e produttivi” 

“Oltre al guadagno, le persone cercano di appartenere e fare la differenza nel loro ambiente di lavoro – aggiunge Alessandro Pancia -. Riconosciamo quindi la necessità per le aziende di evolversi, non solo con salari e benefit, ma sviluppando un ambiente che valorizzi ogni dipendente come parte di un obiettivo comune”.

In questo contesto, la coerenza aziendale, l’ascolto delle esigenze del personale e il rispetto diventano fondamentali per promuovere un’autentica comunità aziendale, riferisce Adnkronos.
“Il nostro obiettivo è potenziare l’empowerment – sottolinea Pancia -, consentendo ai dipendenti di esprimersi e crescere, e sentirsi parte di qualcosa che supera il mero aspetto economico”.

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e-commerce e brand, come si informano gli italiani prima di acquistare online?

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e-commerce e brand, come si informano gli italiani prima di acquistare online?

Negli ultimi anni, complice anche la pandemia, alcuni comportamenti d’acquisto non solo sono diventati “normali”, ma si sono proprio radicati fra le abitudini degli italiani. Il caso più eclatante è sicuramente lo shopping online: oggi la percentuale di italiani che effettua acquisti online ogni settimana si è stabilizzata al 47,1%, più o meno agli stessi valori dell’anno precedente. Lo rivela il report Digital 2024, pubblicato a febbraio da We Are Social in collaborazione con Meltwater.
In questo contesto, però, emergono nuove tendenze, come l’aumento degli acquisti di seconda mano e l’adozione dei servizi “buy now, pay later”. Cala invece lo shopping di beni alimentari e il ricorso ai servizi di comparazione prezzi.

Exploit per l’e-commerce legato alla moda

Nel settore dell’e-commerce, la moda registra un aumento del 25,7%, seguita dai beni di lusso con un +21,4%. Gli italiani aumentano gli acquisti online anche per oggetti di arredamento (+18%), prodotti per la casa (+16,3%) e elettronica (+11,4%).

I film e i servizi TV in streaming rimangono i contenuti digitali più acquistati, scelti dal 40,3% degli utenti internet tra i 16 e i 64 anni. La classifica vede la musica in streaming al secondo posto (17,3%) e le app mobile al terzo (9%). Tuttavia, gli e-book (8,5%) superano i mobile game (8,4%), forse grazie al successo di #booktok.

Brand e social, un rapporto sempre più stretto 

I motori di ricerca sono ancora oggi la fonte principale per scoprire nuovi brand, prodotti o servizi (40,8%). La pubblicità in TV è al secondo posto con il 36,6%, mentre i consigli di amici e familiari pesano per il 30,7%. Posizioni in avanti, nella classifica di autorevolezza, per la pubblicità sui social: passa infatti dalla settima alla quinta posizione (25,1%).

Come si fa la ricerca prima di acquistare?

Il 56,1% delle persone ricerca i brand online prima di acquistare, mentre il 55,8% ha visitato il sito di un marchio nell’ultimo mese, con un aumento del 2,4%. Cresce anche il numero di persone che clicca su contenuti social sponsorizzati (+6,8%, 14,1%), mentre diminuisce chi clicca su banner di siti web (-2,5%, 11,5%). I motori di ricerca mantengono la leadership anche per quanto riguarda la ricerca di informazioni sui brand (59,1%). Social network, siti di confronto prezzi e recensioni superano la soglia del 30%. 

La pubblicità digitale vale oltre 6 miliardi di dollari 

La spesa per la pubblicità digitale, inclusi search e social, cresce del 9,6%, superando i 6 miliardi di dollari. La spesa annuale per collaborazioni pubblicitarie con influencer raggiunge i 340 milioni di dollari, con un aumento del 13,3% rispetto all’anno precedente. Questa crescita porta la quota sulla spesa pubblicitaria digitale totale al 5,4%, con un aumento del 3,4% sull’anno precedente.

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Europa: quali sono i paesi con il miglior indice di vivibilità?  

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Europa: quali sono i paesi con il miglior indice di vivibilità?  

Non è certo un segreto che in Europa il costo della vita sia alto. Ci sono però differenze significative fra i vari Paesi del Vecchio Continente e no, l’Italia non si posiziona bene. Lo rivela un recente studio condotto dalla banca online N26, che con il suo Indice di Vivibilità ha esaminato attentamente i dati relativi alle spese di affitto ed elettricità delle nazioni europee. L’obiettivo dello studio è individuare i Paesi che offrono una migliore qualità della vita, considerando non solo gli aumenti salariali ma anche la densità di popolazione e il livello generale di felicità dei residenti.

Nonostante il leggero calo dell’inflazione e dei costi energetici rispetto ai massimi storici degli ultimi anni, il caro affitti e il prezzo dell’energia elettrica persistono come motivo di preoccupazione in Italia e nel resto d’Europa.

Italia: in fondo alla classifica per qualità della vita

Secondo i dati dell’analisi, l’Italia si posiziona al penultimo posto, preceduta solamente dal Regno Unito. La situazione dei costi elevati di affitti ed energia elettrica ha un impatto significativo sugli stipendi mensili degli italiani, già tra i più bassi in Europa. Con oltre il 52% dello stipendio destinato all’affitto, la percentuale più elevata tra i Paesi considerati, l’Italia si trova di fronte a sfide notevoli per quanto riguarda una vivibilità sostenibile.

Le eccellenze europee: Danimarca, Svizzera e Belgio

Al contrario, la Danimarca si posiziona al vertice della classifica, ed è quindi considerata il miglior Paese in Europa in cui vivere. Seguono Svizzera e Belgio al secondo e terzo posto, con percentuali di salario destinate agli affitti rispettivamente del 21% e del 18%. Questi Paesi offrono una situazione più favorevole in termini di equilibrio tra reddito e costi abitativi, garantendo una migliore qualità della vita.

Male anche i Paesi Bassi

I Paesi Bassi si trovano al terzultimo posto nella classifica, con una percentuale di salario destinata all’affitto che si aggira attorno al 37%. Pur non essendo agli estremi della classifica, la situazione olandese indica comunque una sfida significativa per i residenti in termini di accessibilità economica alla casa.

Le sfide future

In conclusione, nonostante il calo dell’inflazione e dei costi energetici, il caro affitti e il costo dell’energia elettrica rappresentano una problematica urgente in molti Paesi europei. Affrontare queste sfide potrebbe richiedere strategie di politica economica mirate e un focus sul miglioramento delle condizioni abitative, al fine di garantire ai cittadini una migliore qualità della vita.

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Inflazione e TFR: alle Pmi la rivalutazione costa 6 miliardi in più

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Inflazione e TFR: alle Pmi la rivalutazione costa 6 miliardi in più

I dipendenti delle piccole imprese hanno la possibilità di trasferire il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) in un fondo di previdenza complementare, oppure di lasciarlo in azienda. Ipotesi, quest’ultima, scelta da buona parte dei dipendenti.

Ogni anno, pertanto, come previsto dalla legge, l’ammontare del TFR accantonato viene rivalutato dell’1,5%, a cui si aggiunge il 75% della variazione dell’inflazione conseguita a dicembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Ma quest’anno il boom dell’inflazione ha causato una forte rivalutazione de TFRl, che quest’anno alle imprese con meno di 50 dipendenti potrebbe costare mediamente 1.500 euro in più a dipendente. Per un extracosto stimato dall’Ufficio studi della CGIA di almeno 6 miliardi.

Un extracosto per dipendente fino a 2.594 euro

Pertanto, l’Ufficio studi della CGIA ipotizza che per un lavoratore che timbra il cartellino da 5 anni presso la stessa azienda la rivalutazione del suo TFR provocherà nel bilancio 2023 un incremento dei costi pari a 593 euro rispetto a quanto è stato riconosciuto nel periodo che va dalla sua assunzione fino al 2020.
Se, invece, l’anzianità lavorativa è di 10 anni, l’aggravio è di 1.375 euro, con 15 anni di servizio, 2.003 euro, e se il dipendente varca le porte dell’azienda da 20 anni l’extracosto tocca 2.594 euro 

Tendenzialmente, i lavoratori dipendenti delle piccole imprese hanno un’anzianità di servizio più contenuta dei colleghi occupati nelle realtà più grandi, che in virtù della corresponsione di retribuzioni più ‘pesanti’ presentano un turn-over meno accentuato.

Gran parte del sistema produttivo è in difficoltà

Il numero dei lavoratori dipendenti delle piccole aziende che hanno trasferito il TFR nei fondi pensione è contenutissimo.
Ipotizzando che quanti hanno scelto di non trasferirlo in un fondo pensione complementare siano 4,3 milioni (66% circa) e abbiano un’anzianità di servizio media stimata di 10 anni, la variazione della rivalutazione del TFR è stata stimata ad almeno 6 miliardi.

Insomma, per il milione e mezzo di imprese con meno di 50 addetti la fiammata inflazionistica avrebbe comportato, in materia di TFR, una stangata da brividi, che sommata agli effetti riconducibili all’aumento dei tassi di interesse ha messo in difficoltà la gran parte del sistema produttivo del nostro Paese.

Imprese di Vibo Valentia in assoluto le più penalizzate

In mancanza dei dati riferiti al numero di lavoratori dipendenti occupati nelle imprese con meno di 50 addetti, che hanno deciso di trasferire il proprio TFR nei fondi pensione, si può ipotizzare che le realtà imprenditoriali finanziariamente più colpite siano quelle ubicate nei territori dove il peso delle piccole aziende in termini di addetti è maggiore.

Pertanto, la situazione più critica dovrebbe aver interessato il Mezzogiorno, in particolare Vibo Valentia, dove il 91% delle imprese con dipendenti presenti in provincia ha meno di 50 addetti.
Seguono Trapani (89,3%), Agrigento (88,7%), Nuoro (88,3%), Campobasso (86,1%), Prato (85,7%), Grosseto (85,6%), Cosenza (85,1%), Imperia (84,7%) e Barletta-Andria-Trani (84,3%).

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Migliora l’occupazione per i giovani diplomati e laureati

Posted by Massimo Miceli on
Migliora l’occupazione per i giovani diplomati e laureati

Buone notizie sul fronte dell’occupazione, almeno per i giovani italiani che si sono impegnati un po’ di più sui libri. Nel 2022, tra gli under 35 con un titolo di studio conseguito da uno a tre anni,  si è registrato un aumento significativo del tasso di assunzione. Tra i diplomati, il tasso di occupazione è salito al 56,5%, mentre tra i laureati è arrivato al 74,6%, registrando un incremento rispettivamente di 6,6 e 7,1 punti percentuali rispetto al 2021. Per i laureati, questo valore ha superato di 4 punti percentuali il livello precedente alla crisi del 2008. Tuttavia, resta evidente il divario occupazionale con l’Europa.

Differenze sostanziali da Nord a Sud

Secondo un rapporto dell’Istat, nel Mezzogiorno i laureati tra i 30 e i 34 anni registrano un tasso di occupazione del 69,9%, ben 20 punti percentuali inferiore rispetto al Nord, che ha invece un tasso del 89,2%. Inoltre, se i genitori hanno un basso livello di istruzione, un giovane su quattro abbandona gli studi precocemente, mentre solo uno su dieci riesce a conseguire un titolo superiore.
Al contrario, se almeno un genitore è laureato, le quote si riducono a meno di tre su 100 che abbandonano gli studi e circa sette su 10 conseguono un titolo terziario.

Oltre il 60% degli italiani ha un diploma, ma il resto d’Europa fa meglio

In Italia, nel 2022, il 63,0% della popolazione tra i 25 e i 64 anni possiede almeno un titolo di studio secondario superiore, un valore simile a quello della Spagna (64,2%), ma notevolmente inferiore a Germania (83,2%), Francia (83,3%) e alla media dell’UE27 (79,5%). Anche la quota di coloro che hanno conseguito un titolo di studio terziario (20,3%) è più bassa della media europea (34,3%), rappresentando appena la metà di quanto registrato in Francia e Spagna (rispettivamente il 41,6% e il 41,1%).

Diminuisce il divario fra diplomati e laureati

Tra la popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione è aumentato tra il 2021 e il 2022 di 1,3 punti percentuali per chi possiede un titolo terziario e di due punti percentuali per i livelli di istruzione medio-bassi. Ciò ha portato a una leggera diminuzione del divario tra i tassi di occupazione tra laureati e diplomati, che era cresciuto nei due anni precedenti, principalmente a causa degli effetti contenuti della pandemia sull’occupazione dei laureati nel 2020 e del loro più significativo miglioramento nel 2021.

Nel 2022, il tasso di occupazione dei laureati ha raggiunto l’83,4%, superiore di 11 punti percentuali rispetto ai diplomati (72,3%) e di 30 punti percentuali rispetto a chi ha al massimo un titolo secondario inferiore (53,3%). Il tasso di disoccupazione tra i laureati è invece più basso, al 3,9%, rispetto a diplomati e non laureati, con differenze di 2,6 e 7,0 punti percentuali rispettivamente. Questi dati confermano l’importante “premio” occupazionale legato all’istruzione, evidenziando come il livello di istruzione sia un determinante fondamentale per la probabilità di trovare lavoro.

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Per i musei pubblici il futuro è 4.0

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Per i musei pubblici il futuro è 4.0

L’intero sistema dei musei pubblici italiani nel 2019 ha generato 242,4 milioni di euro di ricavi da ingressi. Un dato in crescita del 10,8% dal 2012, ma che equivale alla somma dei ricavi di appena 5 dei musei e monumenti più visitati d’Europa: Louvre, Tour Eiffel e Musee d’Orsay in Francia, Prado e Museo Reina Sofia in Spagna. Se i musei pubblici introducessero strumenti e logiche 4.0, digitalizzando l’esperienza di visita, ottimizzando le tariffe e ampliando l’offerta di servizi disponibili, i ricavi aumenterebbero fra il 44% e il 66%. È quanto emerge dallo studio Musei pubblici, un patrimonio strategico per il sistema Italia, condotto da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Aditus.

Un volano per lo sviluppo del Paese

Il settore museale può essere un volano per lo sviluppo del Paese. L’effetto moltiplicatore economico e occupazionale consentirebbe infatti di attivare 237 euro distribuiti in tutti i settori economici per ogni 100 euro investiti nelle attività museali e culturali, e 1,5 occupati esterni al comparto per ogni posto di lavoro creato al suo interno. Per rafforzare la competitività dei musei pubblici, e sostenerne lo sviluppo, serve ridare centralità al visitatore e investire nell’ampliamento dell’offerta dei servizi museali e culturali, integrando prodotti aggiuntivi e il canale digitale nell’esperienza di visita del museo. Anche introducendo nuove logiche di gestione e metodi di comunicazione e marketing digitali.

Performance di attrazione differenziate sul territorio

Nonostante i ricavi dei musei statali siano cresciuti, il 37% degli enti statali e il 45% di quelli pubblici non statali sono a ingresso completamente gratuito. Anche il 51% dei visitatori negli enti statali e pubblici non statali è a titolo gratuito, con valori particolarmente elevati negli enti statali (58%). Inoltre, se il patrimonio museale in Italia è distribuito sul territorio le performance di attrazione sono molto differenziate. Otto regioni su venti hanno ridotto numero di enti culturali. Il Lazio, con il 7% del patrimonio nazionale, attrae un quarto dei visitatori annuali totali in Italia e la grande maggioranza dei ricavi si concentra in sole tre regioni: Lazio, Campania, Toscana. 

Digitale: un’opportunità ancora da cogliere

I musei italiani appaiono ancora indietro nell’adozione di strumenti digitali. In particolare, meno di un terzo (31,2%) offre ai visitatori video e/o touch screen per la descrizione e l’approfondimento delle opere, solo il 27,5% è dotato di QR Code e/o di Wi-Fi nelle strutture, meno di uno su cinque mette a disposizione applicazioni per tablet e smartphone, poco più di uno su cinque (22,4%) è dotato di supporti multimediali. Inoltre, il 34,8% non ha ancora digitalizzato i beni esposti al pubblico e il 37,8% quelli conservati in archivio. E se solo poco più di 1 museo su 5 organizza convegni, conferenze e seminari online o tour virtuali, il 37% degli istituti culturali in Italia non è ancora presente sul web con un proprio sito dedicato. E la biglietteria online è presente solo in 1 ente su 5.

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Sicurezza informatica: qual è l’evoluzione delle minacce nel 2023?

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Sicurezza informatica: qual è l’evoluzione delle minacce nel 2023?

L’edizione di metà anno del Report di Acronis sulle minacce digitali, basato sui dati acquisiti da oltre un milione di endpoint a livello globale, coglie l’evoluzione del panorama della sicurezza informatica. Nel 2023 le minacce digitali registrano un picco rispetto all’anno precedente. Segnale della proliferazione del crimine informatico e della crescente abilità degli hacker di compromettere i sistemi. In particolare, il Report rivela il diffondersi dell’utilizzo da parte dei criminali informatici dei sistemi di AI generativa, come ChatGPT, per creare contenuti dannosi e sferrare attacchi sempre più sofisticati.
“Il panorama è estremamente dinamico – commenta Candid Wüest, Vicepresidente Research Acronis – e per affrontarlo le organizzazioni devono adottare soluzioni di sicurezza agili, complete e unificate, che garantiscano la visibilità necessaria a capire gli attacchi, semplificare il contesto e fornire misure di correzione efficienti”.

L’attacco arriva con l’email

Nel primo trimestre del 2023, Acronis ha bloccato circa 50 milioni di URL sugli endpoint, con un aumento del 15% rispetto all’ultimo trimestre 2022. Nello stesso periodo, sono stati resi pubblici 809 casi di ransomware, con un picco del 62% a marzo, rispetto alla media mensile di 270 casi. Sempre nel primo trimestre del 2023, il 30,3% di tutte le email ricevute erano spam e l’1,3% conteneva malware o link di phishing. Ogni esemplare di malware circola in media per 2,1 giorni prima di scomparire. Il 73% degli esemplari è stato osservato una sola volta.
I modelli di AI pubblici agiscono come complice inconsapevole dei criminali alla ricerca di vulnerabilità nei codici sorgente: li aiutano infatti a creare situazioni che impediscono di prevenire e sventare le frodi, come i deep fake.

Malware creati l’Intelligenza artificiale

Nei loro attacchi, i criminali informatici mostrano capacità sempre più sofisticate e utilizzano l’Intelligenza artificiale e il codice ransomware già esistente per penetrare in profondità nei sistemi delle vittime ed estorcere informazioni riservate.
Il malware creato con l’Intelligenza artificiale è in grado di sfuggire agli antivirus tradizionali. Rispetto all’anno scorso sono aumentati in modo esponenziale i casi di ransomware pubblico. Gli endpoint monitorati da Acronis restituiscono dati preziosi sulle modalità di azione dei criminali, confermando la maggiore intelligenza, complessità e difficoltà di rilevamento di alcune tipologie di attacco.

LLM: un fiorente mercato anche per gli hacker

I criminali hanno attinto al fiorente mercato dei grandi modelli linguistici (LLM) basati sull’AI, avvalendosi delle piattaforme per creare, automatizzare, perfezionare e rendere scalabili i nuovi attacchi tramite l’apprendimento attivo. Il phishing invece resta la forma più diffusa di furto delle credenziali e costituisce il 73% di tutti gli attacchi. Al secondo posto, troviamo gli attacchi di compromissione delle e-mail aziendali, con il 15%. Solo nella prima metà del 2023, il numero degli attacchi di phishing basati su e-mail è aumentato del 464% rispetto al 2022, e gli attacchi subiti da ogni azienda aumentano del 24%.
Sugli endpoint monitorati da Acronis è stato registrato inoltre un aumento del 15% del numero di file e URL dannosi per e-mail analizzata.

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Criminalità: i dati reali e la percezione dei cittadini italiani

Posted by Massimo Miceli on
Criminalità: i dati reali e la percezione dei cittadini italiani

Se la sicurezza rappresenta un argomento centrale della comunicazione politica e dell’informazione, è necessario distinguere tra rischio reale e rischio percepito. Sono queste le premesse dell’indagine ‘La criminalità: tra realtà e percezione’, nata nel quadro del Protocollo d’intesa sottoscritto dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale della Polizia Criminale e l’Eurispes.
Di fatto, se dal 2007 al 2022 il totale generale dei delitti in Italia fino al 2020 evidenzia una flessione, durante e dopo la pandemia (nel 2021 e nel 2022) la ‘curva’ risale. In particolare, nel 2022, i delitti commessi registrati sono 2.183.045, +3,8% rispetto al 2021, soprattutto furti (+17,3%), estorsioni (+14,4%), rapine (+14,2%), e violenze sessuali (+10,9%). In diminuzione, invece, sfruttamento della prostituzione e pornografia minorile (-24,7%), usura (-15,8%), contrabbando (-10,4%), e incendi (-3%).

Delitti di genere: meno maltrattamenti più violenze sessuali

Considerando il quadriennio 2019-2022, nell’ultimo anno si evidenzia un significativo decremento degli atti persecutori e i maltrattamenti contro familiari e conviventi, mentre le violenze sessuali, a fronte di un decremento nel 2020, mostrano un andamento in costante incremento. Inoltre, nel 2022 sono stati registrati 314 omicidi, con 124 vittime donne (+4% vs 2021), di cui 102 uccise in àmbito familiare/affettivo. Di queste, 60 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Il totale degli omicidi commessi, però, registra in generale un calo nel corso degli anni: nel 2007 erano il doppio (632).

I cittadini si sentono sicuri?

Se la casa è il luogo in cui una fetta più ampia del campione si sente al sicuro (81%), l’83,3% afferma di sentirsi sicuro anche a uscire da solo di giorno nella zona di residenza. Le cose cambiano se si tratta di uscire nelle ore serali: il tasso di risposta positiva scende al 67,6%.  Negli ultimi tre anni però la paura di subire reati è aumentata (24,8%), e fra i crimini che più preoccupano gli italiani spiccano furto in abitazione (26,6%), aggressione fisica (17,7%) e la paura di subire uno scippo/borseggio (11,1%). Il disagio sociale viene indicato come prima motivazione alla base della diffusione dei fenomeni criminali (16,6%), e il 9% denuncia un’insufficiente presenza delle Istituzioni dello Stato.

Anche il web fa paura   

Tra i reati percepiti come più pericolosi rispetto al passato c’è il furto di dati personali su Internet (56,2%). Nell’ultimo anno il 14,7% degli italiani ha infatti dichiarato di essere stato vittima di truffe su Internet, e oltre un quinto riferisce di essere stato vittima di truffe negli acquisti online (21,6%).
Il secondo reato informatico più diffuso sono le richieste di denaro con inganno (18,7%), il terzo la sottrazione di dati di autenticazione (17,8%), poi l’inganno da falsa identità (14,4%), e il furto di identità social (13,7%). Un intervistato su 10 ha poi subìto cyber stalking, il 9,1% la violazione dell’account di posta elettronica, e il 6% un’altra forma di ‘violenza digitale’, il revenge porn.
Il 19,6%, inoltre, riferisce di aver avvertito una violazione per aver visto pubblicare online senza consenso foto in cui era presente.