Varie

Lavoro e pandemia, giovani demotivati. In Italia peggio che in Europa

Posted by Massimo Miceli on
Lavoro e pandemia, giovani demotivati. In Italia peggio che in Europa

Durante l’anno della pandemia il 39% dei dipendenti europei ha avuto difficoltà a trovare la giusta motivazione al lavoro, e circa la metà dei lavoratori più giovani, quelli tra i 18 ai 34 anni, ha sofferto di un vero e proprio blocco motivazionale. E in Italia è ancora peggio. Nello stesso periodo, infatti, rispetto ad altri Paesi europei, nel nostro Paese si è avvertita più forte la percezione di una riduzione delle possibilità di ottenere nuove responsabilità e acquisire nuove skill. La pensa così il 49% dei lavoratori italiani. Si tratta di alcuni risultati di una ricerca condotta da Yonder per Workday, la società per le applicazioni aziendali cloud nella gestione finanziaria e le risorse umane, sull’impatto della pandemia nella vita lavorativa. La ricerca è stata condotta tra ottobre e novembre 2020, ovvero nella seconda fase della pandemia, attraverso la rilevazione di 17.054 sondaggi online effettuati a dipendenti di livello inferiore a quello di direttore, che lavorano in un’organizzazione con più di 250 dipendenti di nove Paesi europei.

Nel 2020 si sono ridotte le possibilità di ottenere nuove responsabilità e skill

Da quanto emerge dallo studio, rispetto al resto d’Europa, in Italia coloro che hanno maggiormente sofferto l’impatto emozionale della pandemia sul posto di lavoro sono le persone più giovani: la percentuale italiana del 49% si confronta infatti con una media europea del 38%. Il 54% dei giovani dipendenti ha dichiarato, inoltre, di credere che le sue possibilità di ottenere nuove responsabilità e skill nel 2020 si siano ridotte, mentre i lavoratori più anziani sono più portati a considerare egoistico, in questo momento, pensare alla carriera.

I dipendenti come percepiscono la risposta della leadeship alla crisi?

Ma come è stata percepita da parte dei dipendenti la risposta della leadership? I leader italiani, stando alle risposte fornite a Yonder, sono in linea con i risultati europei. Per il 51% dei lavoratori la leadership ha una visione chiara sul futuro a lungo termine dell’azienda, per il 49% i senior manager hanno dimostrato una leadership chiara, hanno fornito risorse sufficienti per permettere di offrire ai clienti un buon servizio, e hanno lavorato in gruppo e informato. Questo ha fatto sì che il 53% dei lavoratori abbia compreso il ruolo che giocherà nel futuro dell’azienda, anche se solo il 28% si è sentita parte delle decisioni della leadership, un dato in linea con i Paesi europei.

C’è chi pensa di cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi 

Nei prossimi 12 mesi in Italia, però, il 22% dei dipendenti dichiara che probabilmente cercherà un nuovo datore di lavoro. E la percentuale sale al 33% nei giovani di 18-34 anni. Il 23% dei dipendenti dichiara, invece, che probabilmente cercherà un nuovo posto di lavoro dopo la pandemia. Le maggiori motivazioni per cui i lavoratori stanno pensando di cambiare posto di lavoro, riporta Adnkronos, sono ottenere una migliore formazione e più opportunità di crescita, auspicate dal 39% degli intervistati, ottenere una paga migliore (37%), un ruolo più interessante (31%), o un livello professionale più alto (26%).

Informazioni utili

Mi costi, ma quanto mi costi? 126 euro l’anno per la telefonia mobile

Posted by Massimo Miceli on
Mi costi, ma quanto mi costi? 126 euro l’anno per la telefonia mobile

In media, gli italiani spendono 126 euro l’anno per il cellulare. Il dato relativo alla spesa per le tariffe di telefonia mobile emerge dall’indagine che Facile.it ha commissionato agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, realizzata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. 

Chi spende di più e chi spende di meno

In realtà, in base ai dati raccolti emerge che il 17% dei rispondenti, pari a circa 5,1 milioni di individui, spende decisamente meno, cioè 72 euro l’anno; solo per il 5% dei clienti il costo supera i 240 euro annui. Tra i dati che saltano all’occhio, la correlazione tra prezzo medio e fascia anagrafica. La bolletta più pesante è infatti quella dei 65-69enni (156 euro l’anno) e quella dei 70-74enni (138 euro), probabilmente perché meno abituati a destreggiarsi tra le offerte degli operatori. A riprova di questo, i campioni del risparmio risultano essere i 25-34enni e i 35-44enni, che in media, rispettivamente, spendono 119 euro e 115 euro l’anno. 

Traffico dati, la media è di 41,7 GB

Per quanto riguarda il traffico dati, dalla ricerca emerge che gli italiani possono contare in media su 41,7 GB al mese. E se, da un lato, l’11% del campione dispone di solo 5 o meno GB al mese, dall’altro ci sono 3,4 milioni di italiani che hanno offerte con traffico dati superiore ai 70 GB mensili. Nonostante un volume di dati mediamente importante, non sempre i GB a disposizione sono sufficienti; il 20% dei rispondenti, pari a circa poco meno di 6 milioni di individui, dichiara di fare fatica ad arrivare a fine mese e per questo deve centellinare l’uso dei dati, per non finirli. 

Due cellulari per 7,3 milioni di italiani

Gli italiani amano il cellulare, si sa. E non ne possono fare a meno. L’indagine realizzata per Facile.it da mUp Research e Norstat evidenzia che in media ogni italiano ha 1,3 telefoni cellulari a testa. Questo non solo significa che la quasi totalità della popolazione ha un dispositivo mobile, ma anche che 7,3 milioni ne hanno 2 e ben 1,7 milioni ne possiedono 3 o più.
Un altro dato interessante è l’età del primo cellulare. L’indagine ha messo in luce come negli ultimi 20 anni, cioè da quando i telefonini sono diventati prodotti di massa, l’età in cui se ne entra in possesso sia costantemente calata. Se i quarantacinquenni di oggi hanno ricevuto il primo cellulare intorno ai 23-24 anni, i venticinquenni lo hanno avuto a 14 anni e i diciottenni addirittura a 12 anni. Ed è facile immaginare che l’età media continuerà ad abbassarsi  in futuro.

Informazioni utili

Se la casa è multitasking lo smart working si condivide con i familiari

Posted by Massimo Miceli on
Se la casa è multitasking lo smart working si condivide con i familiari

La casa degli italiani è diventata sempre più multitasking, tanto che nell’ultimo anno il 63,6% di loro ha condiviso con familiari o conviventi momenti di smart working. Questo ha certamente avuto un impatto sui rapporti interpersonali, perché il connubio casa-lavoro spesso si è rivelato molto utile a comprendere aspetti diversi delle persone con cui si convive, nonché dell’attività che svolgono. Ma com’è vivere da smart worker, o con chi lo fa, anche solo saltuariamente? Alla domanda risponde un’indagine InfoJobs attraverso le opinioni di 5.000 utenti.

Il connubio casa-lavoro può essere utile a comprendersi meglio

Dalle risposte degli italiani emerge che condividere il lavoro a casa aiuta a capire cose che prima proprio non si sapevano del lavoro altrui (30%), anche perché prima di questa “prova” ci si immaginava una realtà professionale molto diversa da quella reale (15,4%). Di contro, per il 28,8%, la vita lavorativa è stata invece confinata senza osmosi con quella privata, complici gli spazi molto ben separati. Ma se il connubio casa-lavoro altrui c’è stato, si è rivelato molto utile soprattutto per far comprendere diversi aspetti, come le capacità professionali e il valore delle persone care nel luogo di lavoro (36%), poter rispondere finalmente alla domanda: “ma tu… alla fine, che lavoro fai?” (26,7%), o semplicemente comprendere motivi di stress da lavoro e preoccupazioni che manifesta chi vive insieme (20,5%), così come le dinamiche interne e le relazioni con i colleghi (16,8%).

L’impatto sui rapporti interpersonali

Sia che si tratti di una relazione affettiva o di semplici coinquilini, aver provato la vita “smart”, ha certamente avuto un impatto sui rapporti interpersonali. Per il 31,5% ha permesso di avere più tempo da trascorrere insieme, riuscendo a conciliare le esigenze e facendo cose prima irrealizzabili, come pranzi o colazioni a prova di spot tv. La nuova normalità ha creato un terreno fertile per nuovi argomenti di confronto e scambio (21,7%), ma ha anche rafforzato la complicità (21,3%). Ovviamente in tutto questo c’è anche un lato oscuro: per il 19% la gestione degli spazi è stata resa decisamente complessa.

Il timore di apparire nelle videocall altrui

Le complessità si manifestano in particolare nella difficoltà di godere in libertà dello spazio domestico (44,4%), senza timore di intralciare le videocall altrui o disturbare. Per il 28,9% il problema maggiore, riporta Adnkronos, è stata infatti la necessità di organizzare tempi e spazi per non intralciarsi a vicenda. Al contrario, il connubio lavoro-vita privata ha fatto sì che il 35% delle persone abbia supportato partner/familiari o coinquilini a districarsi su temi lavorativi, e il parere è stato richiesto soprattutto per trovare un’idea (24,6%). D’altra parte, invece, per il 33,4% il lavoro è un argomento tabù e non se ne discute in casa.

Informazioni utili

Cambiano le regole per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro

Posted by Massimo Miceli on
Cambiano le regole per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro

Se fino a qualche anno fa il curriculum vitae era di fatto l’unico strumento in mano ai selezionatori per poter ottenere una descrizione preliminare delle competenze di un candidato, oggi social network come LinkedIn offrono un’interessante, e alternativa, fonte di informazioni. E ancora, se i colloqui da remoto tra candidato e selezionatore erano una rarità, oggi, e soprattutto dallo scoppio della pandemia in poi, sono diventati la prassi. Ma le regole cambiano anche per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, e a cambiare è anche il modo con cui i selezionatori analizzano i curricula, poiché ora pongono un’attenzione inferiore agli anni di esperienza del candidato a fronte di un’attenzione superiore dedicata alle capacità e alle skills.

Una conseguenza dell’allungarsi delle carriere professionali dei giovani

Uno dei motivi di questi cambiamenti è una delle conseguenze dell’allungarsi delle carriere professionali nelle nuove generazioni.
“Chi è entrato nel mondo del lavoro in questi anni ha davanti a sé un lunghissimo periodo di lavoro, decisamente più ampio ed esteso rispetto a quello che hanno conosciuto i rispettivi genitori e nonni – spiega Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati – il fatto di posticipare sempre più in avanti l’età pensionabile ha anche altri effetti importanti sui meccanismi di selezione”.

Le pause tra un impiego e l’altro non si nascondono più nei cv

“Un career coach, fino a qualche tempo fa, avrebbe consigliato a qualsiasi professionista di ridurre al minimo le pause di carriera, ovvero i mesi ‘vuoti’ tra un’occupazione e l’altra – sottolinea Adami – ogni buco nel curriculum vitae poteva infatti essere visto come una mancanza da parte del candidato alla ricerca di un nuovo lavoro”. Ma oggi le cose iniziano a essere differenti. “Di fronte a una carriera lavorativa della durata di 40 o 50 anni è più che normale, se non perfino talvolta consigliabile, ritagliarsi pause di qualche settimana, o anche di alcuni mesi – continua Adami -. E queste pause non devono più essere nascoste nei curriculum vitae: l’importante è piuttosto essere in grado di spiegare al selezionatore cosa è stato fatto durante quel periodo tra un lavoro e l’altro”.

I ‘buchi’ di carriera permettono di accrescere le proprie competenze

“In un mondo professionale in cui è normale lavorare a lungo e cambiare un numero importante di aziende nel corso della carriera può essere premiante ritagliarsi alcune pause per dedicarsi alle proprie passioni, ripensare i propri obiettivi – precisa Adami -. Il nostro consiglio non è quello di nascondere queste pause, ma anzi di metterle in evidenza, spiegando come questi ‘buchi’ hanno permesso di accrescere le proprie competenze”. Con la situazione lavorativa odierna, quindi, si potrebbero guadagnare punti sugli altri candidati proprio a causa di una o più pause di carriera se particolarmente significative.

Informazioni utili

Mutui per i giovani, agevolazioni e risparmi per acquistare casa

Posted by Massimo Miceli on
Mutui per i giovani, agevolazioni e risparmi per acquistare casa

Dall’esenzione delle imposte all’onorario notarile ridotto, fino a un credito di imposta da recuperare attraverso la dichiarazione dei redditi, sono queste le misure contenute nella bozza del Decreto Sostegni Bis, oltre alle modifiche sul Fondo di Garanzia Prima Casa, pensate per agevolare gli under 36 nell’acquisto della prima casa. Ma di fatto quanto risparmierebbe un giovane comprando casa? Per rispondere alla domanda Facile.it e Mutui.it hanno eseguito alcune simulazioni, scoprendo che il vantaggio economico è significativo, soprattutto per chi acquista un immobile di nuova costruzione da un’impresa con vendita soggetta a IVA.

Quanto si spende acquistando da un privato?

Quando si compra una prima casa da un privato l’acquirente deve pagare l’imposta di registro pari al 2% del valore catastale dell’immobile, l’imposta ipotecaria di 50 euro e quella catastale, sempre di 50 euro. A questi costi si aggiunge l’imposta sostitutiva su finanziamenti, pari allo 0,25% del valore del mutuo concesso dalla banca. Un under 36 che compra un immobile da 150.000 euro (con valore catastale pari a 77.098 euro), dovrebbe quindi pagare un’imposta di registro pari a 1.542 euro, a cui vanno sommati 100 euro per le imposte ipotecaria e catastale. A questo si aggiunge l’imposta sostitutiva sul mutuo, che per un finanziamento da 120.000 euro, è pari a 300 euro. Se la bozza del Decreto Sostegni Bis venisse approvata nell’attuale formula, il risparmio per il giovane acquirente, grazie alle esenzioni, sarebbe di 1.942 euro, a cui si sommerebbe il risparmio ottenuto dalla riduzione dell’onorario del notaio.

Acquistare un immobile di nuova costruzione

Se invece si acquista una prima casa di nuova costruzione da un’impresa (con vendita soggetta a IVA), oltre a sostenere l’imposta di registro (200 euro), quella ipotecaria (200 euro) e quella catastale (200 euro), deve versare l’IVA agevolata al 4% e, in caso di mutuo, l’imposta sostitutiva sui finanziamenti (0,25% del valore concesso). Se si ipotizza l’acquisto di un immobile di nuova costruzione del valore di 150.000 euro, il giovane acquirente dovrebbe quindi sostenere una spesa pari a 600 euro per le tre imposte, 6.000 euro di IVA agevolata e 300 euro per l’imposta sostitutiva sul mutuo. Secondo l’attuale formulazione della bozza, l’under 36 potrebbe ottenere l’esenzione dalle imposte, con un risparmio di 900 euro, e un credito di imposta di 6.000 euro, pari all’IVA sul valore dell’immobile.

Il credito di imposta

Il credito non dà luogo a rimborsi ma, come specifica la bozza del decreto, “può essere portato in diminuzione dalle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito, ovvero può essere utilizzato in diminuzione delle imposte sui redditi delle persone fisiche dovute in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data dell’acquisto o utilizzato in compensazione”. Anche in questo caso si andrebbe ad aggiungere il risparmio ottenuto grazie alla riduzione dell’onorario del notaio.

Informazioni utili

Agroalimentare, con il Covid la filiera è più corta e sostenibile

Posted by Massimo Miceli on
Agroalimentare, con il Covid la filiera è più corta e sostenibile

L’effetto del Covid-19, lo smart-working e il south-working cambiano i consumi dei prodotti agroalimentari. Gli acquisti degli italiani diventano più etico-salutistici, la filiera più corta e sostenibile, e la geografia demografica è in evoluzione. Gli effetti del lavoro da remoto hanno infatti portato al ritorno nelle regioni di appartenenza molti italiani nati nel Sud, ma residenti al Nord per ragioni lavorative. Si tratta dell’istantanea scattata da Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) e analizzata sulle pagine dell’Informatore Agrario, sull’impatto del Covid-19 sui modelli di consumo agroalimentari in Italia, tra accelerazioni di processi già in atto e nuovi trend imposti dalle restrizioni dovute alla pandemia.

Crescono le vendite dei piccoli esercizi locali

Secondo l’analisi dell’Ismea, nell’ultimo anno si è registrato un ritorno all’economia di prossimità, con un incremento del 19% delle vendite dei piccoli esercizi locali, che registrano 6,5 miliardi di euro di fatturato complessivo, e un’impresa agricola su 5, ovvero il 22% (erano il 17% nel 2019) ha scelto di raggiungere in autonomia il consumatore finale attraverso la vendita diretta. Sul fronte geografico, grazie alla diffusione dello smart- working e del south-working (cioè il ritorno dei lavoratori al proprio paese di origine, specialmente nei piccoli centri del Sud), si registra una crescita più incisiva (+6,7%) delle vendite di agroalimentare nei negozi situati in aree a bassa urbanizzazione, mentre rimangono sostanzialmente stabili nelle grandi città (+0,3%).

Consumatori più attenti all’etichetta e al portafoglio

All’accelerazione spontanea del processo farm to fork, si è affiancata una crescente sensibilità dei consumatori alle informazioni green riportate sull’etichetta, con le indicazioni sulla sostenibilità del prodotto presenti in circa il 35% dei prodotti acquistati. E se da un lato quasi una etichetta su 3 ha convinto gli italiani per articoli premium dalle caratteristiche salutistiche, in particolari quelle dei prodotti rich in o free from, dall’altro si osservano già le conseguenze della crisi sul portafoglio delle famiglie, sempre più vincolate alle offerte promozionali.

Il paniere post lockdown: tiene il lievito, scendono surgelati e scatolame

Tra gli effetti dei vari lockdown, tengono, in particolare tra i più giovani, i consumi nel cosiddetto paniere “cuochi a casa” (uova, farina, lievito, burro, zucchero, olio extravergine d’oliva), mentre si ridimensionano gradualmente gli acquisti dei prodotti “alternativi al fresco”, come surgelati e scatolame, e dei prodotti da “scorta dispensa”, come, ad esempio, il latte Uht, la pasta, e le passate di pomodoro.

Informazioni utili

L’86% degli italiani nonostante la pandemia cerca una nuova casa

Posted by Massimo Miceli on
L’86% degli italiani nonostante la pandemia cerca una nuova casa

Che si tratti di vendita o affitto la gran parte degli oltre 3.200 intervistati dalla survey di Idealista afferma di non aver cambiato orientamento rispetto ai propri criteri di scelta di un’abitazione. A causa della pandemia solo il 14% degli italiani rispondenti avrebbe cambiato le preferenze di ricerca per il 2021, mentre l’85,9% di loro non avrebbe cambiato idea negli ultimi 12 mesi e più. In termini percentuali si arriva fino all’87,3% per le persone interessate ad acquistare casa, contro l’81,5% di chi cerca una casa da affittare.

Le ricerche di case in vendita

Inoltre, il 44,1% del campione sono potenziali acquirenti di prima casa, mentre la metà degli utenti che cercano una casa da acquistare ne possiede già una di proprietà (49,2%).  Il profilo sociodemografico di chi affronta il processo di ricerca online risponde poi ai seguenti parametri: uomo tra i 45 e i 56 anni, vive in coppia con figli e ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il processo di acquisto della casa è un processo che richiede tempo, più di un anno per il 34,3% degli intervistati, e l’interesse per l’acquisto è circoscritto principalmente al comune di residenza (53,3% del totale).

Il processo di affitto è più rapido di quello di compravendita

La tipologia abitativa più ricercata è il 3 locali (52,9% dei potenziali compratori), con un prezzo che oscilla tra i 100.000 e i 200.000 euro. In termini di fabbisogno finanziario, il gruppo più numeroso di potenziali acquirenti dichiara di aver bisogno di un mutuo tra il 50% e l’80% del valore della casa. Il processo di affitto invece è molto più rapido di quello di compravendita: il 18,8% sta cercando casa da meno di un mese, mentre il gruppo più numeroso (27,2%) dichiara avere iniziato il processo di ricerca da 1 a 3 mesi, e il 20,6% porta avanti il processo di ricerca da più di un anno.

Nella ricerca di affitto prevale la domanda al femminile

Le ricerche di case in affitto vedono prevalere la domanda al femminile, distribuita in modo piuttosto indifferenziato per più fasce di età. Si tratta per il 28% delle rispondenti di donne single, o che vivono in coppie senza figli, questi due gruppi insieme compongono oltre il 55% del campione, riporta Askanews.  Le utenti del portale hanno un contratto a tempo indeterminato e non posseggono una casa di proprietà. Cercano per lo più 3 locali, per un canone di spesa che va dai 450 ai 600 euro/mese. La percentuale di reddito destinata all’affitto di solito è compresa tra il 26% e il 35%.

Siti vetrina

Dove posizionare in casa un condizionatore d’aria

Posted by Massimo Miceli on

Sicuramente il desiderio di tutti è quello di vivere in un ambiente sempre fresco e accogliente anche nei caldi mesi estivi. Nel nostro piccolo, possiamo facilitare il lavoro del nostro nuovo condizionatore d’aria consentendogli di essere più efficiente e al tempo stesso di consumare meno energia. Tutto ciò dipende esclusivamente dalla corretta collocazione del dispositivo all’interno di casa.

Quali ambienti di casa desideri rinfrescare?

Bisogna innanzitutto individuare quelle che sono le stanze che desideriamo raffreddare maggiormente rispetto le altre. Potremmo ad esempio avere necessità di rinfrescare le camere da letto o in alternativa la zona giorno, oppure direttamente tutta la casa.

Da questa scelta dipende a sua volta il modello di condizionatore d’aria che andremo a scegliere, in quanto per raffreddare un ambiente particolarmente grande è necessario il dispositivo che sia più potente.

Il corridoio è una posizione strategica

Nel caso in cui si desideri rinfrescare tutta la casa, bisogna considerare che una buona posizione potrebbe essere l’area della zona giorno. Qui il climatizzatore potrebbe essere posizionato in direzione del corridoio così da riuscire a rinfrescare anche tutte le altre stanze di casa.

Probabilmente questa non sarà la migliore soluzione per quel che riguarda l’estetica, ma è necessaria per ottenere una riduzione della temperatura in tutto l’appartamento. Ad ogni modo i nuovi modelli di condizionatori Mitsubishi sono il massimo anche dal punto di vista del design e dell’estetica.

Anche l’unità esterna necessita di essere posizionata laddove non viene colpita direttamente dai raggi del sole, altrimenti sarà costretta a lavorare di più per poter regolare la sua temperatura interna.

Infine, è importante ricordare che l’unità esterna non deve essere posizionata dove questa può essere raggiunta dalle foglie degli alberi ad esempio, oppure polvere e detriti. In questo caso infatti, la macchina sarebbe più soggetta a sporcizia e malfunzionamenti.

Tenere conto di queste semplice indicazioni consentirà di usufruire al meglio del nuovo dispositivo e riuscire così a rinfrescare perfettamente agli ambienti desiderati.

Informazioni utili

Portafoglio contro smartphone: chi vince e perché

Posted by Massimo Miceli on
Portafoglio contro smartphone: chi vince e perché

Fino a pochi anni fa il portafoglio era il “contenitore” di tutti gli aspetti più significativi della nostra vita. Documenti, carte di credito, patente, banconote trovavano tutti posto dentro il portafoglio, che in qualche modo rappresentava anche l’oggetto “simbolo” dell’età adulta. Ma è ancora così? Non esattamente. Oggi i compiti che tradizionalmente sono stati affidati e rinchiusi tra gli scomparti di portafogli più o meno corposi sono stati trasferiti allo smartphone, che di fatto ha sostituito le funzionalità di soldi, carte fisiche, addirittura dei documenti. Una rivoluzione così significativa che viene da domandarsi se oggi ha ancor senso uscire di casa con il portafoglio, dato che l’identità, i documenti e i sistemi di pagamento sono stati smaterializzati e possono essere conservati in forma digitale.

Per il momento siamo ancora… tradizionalisti

Una recente ricerca condotta da Human Highway su un campione di 1.000 individui, rappresentativi dei 41 milioni di italiani online, ha posto l’amletica domanda: “Se ieri ti fosse capitato di perdere uno di questi due oggetti, quale preferiresti aver perduto? Il portafoglio o il cellulare?”. Un po’ a sorpresa, il 59,1% degli intervistati dichiara che ieri avrebbe preferito perdere lo smartphone e dà quindi maggior valore al portafoglio. Ma come si spiega questa scelta?

Forse le incombenze burocratiche spaventano maggiormente

Chi ha condotto la ricerca precisa che questa risposta – meglio perdere lo smartphone rispetto al portafoglio – potrebbe essere influenzata da viversi fattori. Mentre pare non esserci un particolare legame con il valore economico dell’oggetto in sé, gli italiani sembrerebbero preoccupati soprattutto dalla conseguente gestione dell’incidente. Insomma, i nostri connazionali temono tutti i passaggi burocratici legati a denuncia, richieste, riconfigurazione, perdita di informazioni, disagi immediati etc. Tuttavia, la semplicità della domanda è efficace nel riassumere una componente importante della trasformazione digitale del nostro tempo. Se al momento il portafoglio vince ancora con una percentuale vicina al 60%, è facile immaginare che il prossimo futuro vedrà numeri orientati dall’altra parte.

Donne, giovani e colti i più attenti al proprio smartphone

Le persone che tengono in misura maggiore al cellulare rispetto alla media sono donne, giovani e individui con titolo di studio elevato. In particolare, la preferenza verso la perdita del portafoglio – e alla conservazione del cellulare – cresce con l’aumento dell’intensità di consumo dei servizi online. Il segmento pro-Smartphone è composto in maggior misura da residenti nelle regioni del Centro e del Sud, abitanti in centri medio-grandi e persone single o che vivono in famiglie numerose.

Articoli utili

Covid e risorse umane, capacità di adattamento essenziale per il 78% dei dirigenti

Posted by Massimo Miceli on
Covid e risorse umane, capacità di adattamento essenziale per il 78% dei dirigenti

Da quando è iniziata la pandemia di Covid-19 le aziende hanno dovuto rivedere profondamente il proprio metodo di lavoro, apportando cambiamenti improvvisi, e per certi versi, traumatici. La stessa crisi sanitaria, che ha portato le aziende a ripensare sé stesse in via emergenziale, ha offerto però alle aziende anche la possibilità di reinventare in modo radicale i propri modelli di lavoro per aumentare produttività e benessere. Ed è proprio sugli sforzi compiuti in tal senso dalle aziende che si concentra la ricerca Global Human Capital Trends 2021, The social enterprise in a world disrupted di Deloitte.

Le aziende si stanno muovendo per adottare strategie multi-scenario

Prima dello scorso marzo, evidenzia la ricerca, solamente il 6% dei dirigenti a livello internazionale (il 3% in Italia) prevedeva un impegno da parte della propria azienda nella pianificazione della risposta a eventi improbabili e di alto impatto. Oggi, e quindi dopo il diffondersi della crisi sanitaria, questa stessa fetta è cresciuta fino a raggiungere il 17% a livello internazionale, e il 19% in Italia. Di più: il 47% dei dirigenti a livello globale ha anche specificato che le rispettive realtà aziendali si stanno muovendo per adottare strategie multi-scenario, per ridurre al minimo la possibilità di farsi cogliere impreparati in futuro, nell’eventualità di ulteriori eventi eccezionali e non prevedibili.

Durante i momenti di crisi il futuro è determinato anche dalla capacità della forza lavoro

Ma quali sono gli elementi sui quali un’azienda dove puntare per affrontare in modo efficace, rapido e idoneo le criticità future?

Stando al 78% dei dirigenti italiani, e al 72% dei dirigenti a livello internazionale, la priorità risiede nella capacità dei dipendenti di adattarsi, riqualificarsi e assumere nuovi ruoli in risposta ai mutamenti esterni.

“Le questioni relative al capitale umano non sono più relegate unicamente alle risorse umane spiega Drew Keith, human capital leader Deloitte -. Durante i momenti di crisi come quello che stiamo vivendo il futuro delle aziende è determinato anche dalla capacità della forza lavoro, in particolare sono cruciali collaborazione, creatività, giudizio e flessibilità dei dipendenti”.

Intensificare l’impegno sulle attività di upskilling e reskilling

“Per prepararsi ad affrontare al meglio le criticità future molte aziende stanno intensificando l’impegno sul lato delle attività di upskilling e reskilling – continua Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati – mentre dal punto di vista dell’acquisizione di nuovi talenti è andata crescendo l’attenzione riservata alla capacità di adattamento dei candidati”.

Le aziende più oculate stanno infatti dando maggiore peso alla flessibilità dei dipendenti, e più precisamente alla loro capacità di leggere il contesto e di andare oltre il consueto, modificando le proprie abitudini.

“Insieme alla capacità di adattamento – sottolinea l’head hunter – un’altra soft skills che ha guadagnato importanza in questi mesi è la resilienza, intesa come capacità di non arrendersi e non farsi sopraffare dalle novità, ma anzi di trarre insegnamento da ogni nuova evenienza, anche e soprattutto dalle avversità”.