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Mi costi, ma quanto mi costi? 126 euro l’anno per la telefonia mobile

Posted by Massimo Miceli on
Mi costi, ma quanto mi costi? 126 euro l’anno per la telefonia mobile

In media, gli italiani spendono 126 euro l’anno per il cellulare. Il dato relativo alla spesa per le tariffe di telefonia mobile emerge dall’indagine che Facile.it ha commissionato agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, realizzata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. 

Chi spende di più e chi spende di meno

In realtà, in base ai dati raccolti emerge che il 17% dei rispondenti, pari a circa 5,1 milioni di individui, spende decisamente meno, cioè 72 euro l’anno; solo per il 5% dei clienti il costo supera i 240 euro annui. Tra i dati che saltano all’occhio, la correlazione tra prezzo medio e fascia anagrafica. La bolletta più pesante è infatti quella dei 65-69enni (156 euro l’anno) e quella dei 70-74enni (138 euro), probabilmente perché meno abituati a destreggiarsi tra le offerte degli operatori. A riprova di questo, i campioni del risparmio risultano essere i 25-34enni e i 35-44enni, che in media, rispettivamente, spendono 119 euro e 115 euro l’anno. 

Traffico dati, la media è di 41,7 GB

Per quanto riguarda il traffico dati, dalla ricerca emerge che gli italiani possono contare in media su 41,7 GB al mese. E se, da un lato, l’11% del campione dispone di solo 5 o meno GB al mese, dall’altro ci sono 3,4 milioni di italiani che hanno offerte con traffico dati superiore ai 70 GB mensili. Nonostante un volume di dati mediamente importante, non sempre i GB a disposizione sono sufficienti; il 20% dei rispondenti, pari a circa poco meno di 6 milioni di individui, dichiara di fare fatica ad arrivare a fine mese e per questo deve centellinare l’uso dei dati, per non finirli. 

Due cellulari per 7,3 milioni di italiani

Gli italiani amano il cellulare, si sa. E non ne possono fare a meno. L’indagine realizzata per Facile.it da mUp Research e Norstat evidenzia che in media ogni italiano ha 1,3 telefoni cellulari a testa. Questo non solo significa che la quasi totalità della popolazione ha un dispositivo mobile, ma anche che 7,3 milioni ne hanno 2 e ben 1,7 milioni ne possiedono 3 o più.
Un altro dato interessante è l’età del primo cellulare. L’indagine ha messo in luce come negli ultimi 20 anni, cioè da quando i telefonini sono diventati prodotti di massa, l’età in cui se ne entra in possesso sia costantemente calata. Se i quarantacinquenni di oggi hanno ricevuto il primo cellulare intorno ai 23-24 anni, i venticinquenni lo hanno avuto a 14 anni e i diciottenni addirittura a 12 anni. Ed è facile immaginare che l’età media continuerà ad abbassarsi  in futuro.

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Se la casa è multitasking lo smart working si condivide con i familiari

Posted by Massimo Miceli on
Se la casa è multitasking lo smart working si condivide con i familiari

La casa degli italiani è diventata sempre più multitasking, tanto che nell’ultimo anno il 63,6% di loro ha condiviso con familiari o conviventi momenti di smart working. Questo ha certamente avuto un impatto sui rapporti interpersonali, perché il connubio casa-lavoro spesso si è rivelato molto utile a comprendere aspetti diversi delle persone con cui si convive, nonché dell’attività che svolgono. Ma com’è vivere da smart worker, o con chi lo fa, anche solo saltuariamente? Alla domanda risponde un’indagine InfoJobs attraverso le opinioni di 5.000 utenti.

Il connubio casa-lavoro può essere utile a comprendersi meglio

Dalle risposte degli italiani emerge che condividere il lavoro a casa aiuta a capire cose che prima proprio non si sapevano del lavoro altrui (30%), anche perché prima di questa “prova” ci si immaginava una realtà professionale molto diversa da quella reale (15,4%). Di contro, per il 28,8%, la vita lavorativa è stata invece confinata senza osmosi con quella privata, complici gli spazi molto ben separati. Ma se il connubio casa-lavoro altrui c’è stato, si è rivelato molto utile soprattutto per far comprendere diversi aspetti, come le capacità professionali e il valore delle persone care nel luogo di lavoro (36%), poter rispondere finalmente alla domanda: “ma tu… alla fine, che lavoro fai?” (26,7%), o semplicemente comprendere motivi di stress da lavoro e preoccupazioni che manifesta chi vive insieme (20,5%), così come le dinamiche interne e le relazioni con i colleghi (16,8%).

L’impatto sui rapporti interpersonali

Sia che si tratti di una relazione affettiva o di semplici coinquilini, aver provato la vita “smart”, ha certamente avuto un impatto sui rapporti interpersonali. Per il 31,5% ha permesso di avere più tempo da trascorrere insieme, riuscendo a conciliare le esigenze e facendo cose prima irrealizzabili, come pranzi o colazioni a prova di spot tv. La nuova normalità ha creato un terreno fertile per nuovi argomenti di confronto e scambio (21,7%), ma ha anche rafforzato la complicità (21,3%). Ovviamente in tutto questo c’è anche un lato oscuro: per il 19% la gestione degli spazi è stata resa decisamente complessa.

Il timore di apparire nelle videocall altrui

Le complessità si manifestano in particolare nella difficoltà di godere in libertà dello spazio domestico (44,4%), senza timore di intralciare le videocall altrui o disturbare. Per il 28,9% il problema maggiore, riporta Adnkronos, è stata infatti la necessità di organizzare tempi e spazi per non intralciarsi a vicenda. Al contrario, il connubio lavoro-vita privata ha fatto sì che il 35% delle persone abbia supportato partner/familiari o coinquilini a districarsi su temi lavorativi, e il parere è stato richiesto soprattutto per trovare un’idea (24,6%). D’altra parte, invece, per il 33,4% il lavoro è un argomento tabù e non se ne discute in casa.

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Cambiano le regole per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro

Posted by Massimo Miceli on
Cambiano le regole per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro

Se fino a qualche anno fa il curriculum vitae era di fatto l’unico strumento in mano ai selezionatori per poter ottenere una descrizione preliminare delle competenze di un candidato, oggi social network come LinkedIn offrono un’interessante, e alternativa, fonte di informazioni. E ancora, se i colloqui da remoto tra candidato e selezionatore erano una rarità, oggi, e soprattutto dallo scoppio della pandemia in poi, sono diventati la prassi. Ma le regole cambiano anche per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, e a cambiare è anche il modo con cui i selezionatori analizzano i curricula, poiché ora pongono un’attenzione inferiore agli anni di esperienza del candidato a fronte di un’attenzione superiore dedicata alle capacità e alle skills.

Una conseguenza dell’allungarsi delle carriere professionali dei giovani

Uno dei motivi di questi cambiamenti è una delle conseguenze dell’allungarsi delle carriere professionali nelle nuove generazioni.
“Chi è entrato nel mondo del lavoro in questi anni ha davanti a sé un lunghissimo periodo di lavoro, decisamente più ampio ed esteso rispetto a quello che hanno conosciuto i rispettivi genitori e nonni – spiega Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati – il fatto di posticipare sempre più in avanti l’età pensionabile ha anche altri effetti importanti sui meccanismi di selezione”.

Le pause tra un impiego e l’altro non si nascondono più nei cv

“Un career coach, fino a qualche tempo fa, avrebbe consigliato a qualsiasi professionista di ridurre al minimo le pause di carriera, ovvero i mesi ‘vuoti’ tra un’occupazione e l’altra – sottolinea Adami – ogni buco nel curriculum vitae poteva infatti essere visto come una mancanza da parte del candidato alla ricerca di un nuovo lavoro”. Ma oggi le cose iniziano a essere differenti. “Di fronte a una carriera lavorativa della durata di 40 o 50 anni è più che normale, se non perfino talvolta consigliabile, ritagliarsi pause di qualche settimana, o anche di alcuni mesi – continua Adami -. E queste pause non devono più essere nascoste nei curriculum vitae: l’importante è piuttosto essere in grado di spiegare al selezionatore cosa è stato fatto durante quel periodo tra un lavoro e l’altro”.

I ‘buchi’ di carriera permettono di accrescere le proprie competenze

“In un mondo professionale in cui è normale lavorare a lungo e cambiare un numero importante di aziende nel corso della carriera può essere premiante ritagliarsi alcune pause per dedicarsi alle proprie passioni, ripensare i propri obiettivi – precisa Adami -. Il nostro consiglio non è quello di nascondere queste pause, ma anzi di metterle in evidenza, spiegando come questi ‘buchi’ hanno permesso di accrescere le proprie competenze”. Con la situazione lavorativa odierna, quindi, si potrebbero guadagnare punti sugli altri candidati proprio a causa di una o più pause di carriera se particolarmente significative.

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Mutui per i giovani, agevolazioni e risparmi per acquistare casa

Posted by Massimo Miceli on
Mutui per i giovani, agevolazioni e risparmi per acquistare casa

Dall’esenzione delle imposte all’onorario notarile ridotto, fino a un credito di imposta da recuperare attraverso la dichiarazione dei redditi, sono queste le misure contenute nella bozza del Decreto Sostegni Bis, oltre alle modifiche sul Fondo di Garanzia Prima Casa, pensate per agevolare gli under 36 nell’acquisto della prima casa. Ma di fatto quanto risparmierebbe un giovane comprando casa? Per rispondere alla domanda Facile.it e Mutui.it hanno eseguito alcune simulazioni, scoprendo che il vantaggio economico è significativo, soprattutto per chi acquista un immobile di nuova costruzione da un’impresa con vendita soggetta a IVA.

Quanto si spende acquistando da un privato?

Quando si compra una prima casa da un privato l’acquirente deve pagare l’imposta di registro pari al 2% del valore catastale dell’immobile, l’imposta ipotecaria di 50 euro e quella catastale, sempre di 50 euro. A questi costi si aggiunge l’imposta sostitutiva su finanziamenti, pari allo 0,25% del valore del mutuo concesso dalla banca. Un under 36 che compra un immobile da 150.000 euro (con valore catastale pari a 77.098 euro), dovrebbe quindi pagare un’imposta di registro pari a 1.542 euro, a cui vanno sommati 100 euro per le imposte ipotecaria e catastale. A questo si aggiunge l’imposta sostitutiva sul mutuo, che per un finanziamento da 120.000 euro, è pari a 300 euro. Se la bozza del Decreto Sostegni Bis venisse approvata nell’attuale formula, il risparmio per il giovane acquirente, grazie alle esenzioni, sarebbe di 1.942 euro, a cui si sommerebbe il risparmio ottenuto dalla riduzione dell’onorario del notaio.

Acquistare un immobile di nuova costruzione

Se invece si acquista una prima casa di nuova costruzione da un’impresa (con vendita soggetta a IVA), oltre a sostenere l’imposta di registro (200 euro), quella ipotecaria (200 euro) e quella catastale (200 euro), deve versare l’IVA agevolata al 4% e, in caso di mutuo, l’imposta sostitutiva sui finanziamenti (0,25% del valore concesso). Se si ipotizza l’acquisto di un immobile di nuova costruzione del valore di 150.000 euro, il giovane acquirente dovrebbe quindi sostenere una spesa pari a 600 euro per le tre imposte, 6.000 euro di IVA agevolata e 300 euro per l’imposta sostitutiva sul mutuo. Secondo l’attuale formulazione della bozza, l’under 36 potrebbe ottenere l’esenzione dalle imposte, con un risparmio di 900 euro, e un credito di imposta di 6.000 euro, pari all’IVA sul valore dell’immobile.

Il credito di imposta

Il credito non dà luogo a rimborsi ma, come specifica la bozza del decreto, “può essere portato in diminuzione dalle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito, ovvero può essere utilizzato in diminuzione delle imposte sui redditi delle persone fisiche dovute in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data dell’acquisto o utilizzato in compensazione”. Anche in questo caso si andrebbe ad aggiungere il risparmio ottenuto grazie alla riduzione dell’onorario del notaio.

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Agroalimentare, con il Covid la filiera è più corta e sostenibile

Posted by Massimo Miceli on
Agroalimentare, con il Covid la filiera è più corta e sostenibile

L’effetto del Covid-19, lo smart-working e il south-working cambiano i consumi dei prodotti agroalimentari. Gli acquisti degli italiani diventano più etico-salutistici, la filiera più corta e sostenibile, e la geografia demografica è in evoluzione. Gli effetti del lavoro da remoto hanno infatti portato al ritorno nelle regioni di appartenenza molti italiani nati nel Sud, ma residenti al Nord per ragioni lavorative. Si tratta dell’istantanea scattata da Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) e analizzata sulle pagine dell’Informatore Agrario, sull’impatto del Covid-19 sui modelli di consumo agroalimentari in Italia, tra accelerazioni di processi già in atto e nuovi trend imposti dalle restrizioni dovute alla pandemia.

Crescono le vendite dei piccoli esercizi locali

Secondo l’analisi dell’Ismea, nell’ultimo anno si è registrato un ritorno all’economia di prossimità, con un incremento del 19% delle vendite dei piccoli esercizi locali, che registrano 6,5 miliardi di euro di fatturato complessivo, e un’impresa agricola su 5, ovvero il 22% (erano il 17% nel 2019) ha scelto di raggiungere in autonomia il consumatore finale attraverso la vendita diretta. Sul fronte geografico, grazie alla diffusione dello smart- working e del south-working (cioè il ritorno dei lavoratori al proprio paese di origine, specialmente nei piccoli centri del Sud), si registra una crescita più incisiva (+6,7%) delle vendite di agroalimentare nei negozi situati in aree a bassa urbanizzazione, mentre rimangono sostanzialmente stabili nelle grandi città (+0,3%).

Consumatori più attenti all’etichetta e al portafoglio

All’accelerazione spontanea del processo farm to fork, si è affiancata una crescente sensibilità dei consumatori alle informazioni green riportate sull’etichetta, con le indicazioni sulla sostenibilità del prodotto presenti in circa il 35% dei prodotti acquistati. E se da un lato quasi una etichetta su 3 ha convinto gli italiani per articoli premium dalle caratteristiche salutistiche, in particolari quelle dei prodotti rich in o free from, dall’altro si osservano già le conseguenze della crisi sul portafoglio delle famiglie, sempre più vincolate alle offerte promozionali.

Il paniere post lockdown: tiene il lievito, scendono surgelati e scatolame

Tra gli effetti dei vari lockdown, tengono, in particolare tra i più giovani, i consumi nel cosiddetto paniere “cuochi a casa” (uova, farina, lievito, burro, zucchero, olio extravergine d’oliva), mentre si ridimensionano gradualmente gli acquisti dei prodotti “alternativi al fresco”, come surgelati e scatolame, e dei prodotti da “scorta dispensa”, come, ad esempio, il latte Uht, la pasta, e le passate di pomodoro.

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L’86% degli italiani nonostante la pandemia cerca una nuova casa

Posted by Massimo Miceli on
L’86% degli italiani nonostante la pandemia cerca una nuova casa

Che si tratti di vendita o affitto la gran parte degli oltre 3.200 intervistati dalla survey di Idealista afferma di non aver cambiato orientamento rispetto ai propri criteri di scelta di un’abitazione. A causa della pandemia solo il 14% degli italiani rispondenti avrebbe cambiato le preferenze di ricerca per il 2021, mentre l’85,9% di loro non avrebbe cambiato idea negli ultimi 12 mesi e più. In termini percentuali si arriva fino all’87,3% per le persone interessate ad acquistare casa, contro l’81,5% di chi cerca una casa da affittare.

Le ricerche di case in vendita

Inoltre, il 44,1% del campione sono potenziali acquirenti di prima casa, mentre la metà degli utenti che cercano una casa da acquistare ne possiede già una di proprietà (49,2%).  Il profilo sociodemografico di chi affronta il processo di ricerca online risponde poi ai seguenti parametri: uomo tra i 45 e i 56 anni, vive in coppia con figli e ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il processo di acquisto della casa è un processo che richiede tempo, più di un anno per il 34,3% degli intervistati, e l’interesse per l’acquisto è circoscritto principalmente al comune di residenza (53,3% del totale).

Il processo di affitto è più rapido di quello di compravendita

La tipologia abitativa più ricercata è il 3 locali (52,9% dei potenziali compratori), con un prezzo che oscilla tra i 100.000 e i 200.000 euro. In termini di fabbisogno finanziario, il gruppo più numeroso di potenziali acquirenti dichiara di aver bisogno di un mutuo tra il 50% e l’80% del valore della casa. Il processo di affitto invece è molto più rapido di quello di compravendita: il 18,8% sta cercando casa da meno di un mese, mentre il gruppo più numeroso (27,2%) dichiara avere iniziato il processo di ricerca da 1 a 3 mesi, e il 20,6% porta avanti il processo di ricerca da più di un anno.

Nella ricerca di affitto prevale la domanda al femminile

Le ricerche di case in affitto vedono prevalere la domanda al femminile, distribuita in modo piuttosto indifferenziato per più fasce di età. Si tratta per il 28% delle rispondenti di donne single, o che vivono in coppie senza figli, questi due gruppi insieme compongono oltre il 55% del campione, riporta Askanews.  Le utenti del portale hanno un contratto a tempo indeterminato e non posseggono una casa di proprietà. Cercano per lo più 3 locali, per un canone di spesa che va dai 450 ai 600 euro/mese. La percentuale di reddito destinata all’affitto di solito è compresa tra il 26% e il 35%.

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Portafoglio contro smartphone: chi vince e perché

Posted by Massimo Miceli on
Portafoglio contro smartphone: chi vince e perché

Fino a pochi anni fa il portafoglio era il “contenitore” di tutti gli aspetti più significativi della nostra vita. Documenti, carte di credito, patente, banconote trovavano tutti posto dentro il portafoglio, che in qualche modo rappresentava anche l’oggetto “simbolo” dell’età adulta. Ma è ancora così? Non esattamente. Oggi i compiti che tradizionalmente sono stati affidati e rinchiusi tra gli scomparti di portafogli più o meno corposi sono stati trasferiti allo smartphone, che di fatto ha sostituito le funzionalità di soldi, carte fisiche, addirittura dei documenti. Una rivoluzione così significativa che viene da domandarsi se oggi ha ancor senso uscire di casa con il portafoglio, dato che l’identità, i documenti e i sistemi di pagamento sono stati smaterializzati e possono essere conservati in forma digitale.

Per il momento siamo ancora… tradizionalisti

Una recente ricerca condotta da Human Highway su un campione di 1.000 individui, rappresentativi dei 41 milioni di italiani online, ha posto l’amletica domanda: “Se ieri ti fosse capitato di perdere uno di questi due oggetti, quale preferiresti aver perduto? Il portafoglio o il cellulare?”. Un po’ a sorpresa, il 59,1% degli intervistati dichiara che ieri avrebbe preferito perdere lo smartphone e dà quindi maggior valore al portafoglio. Ma come si spiega questa scelta?

Forse le incombenze burocratiche spaventano maggiormente

Chi ha condotto la ricerca precisa che questa risposta – meglio perdere lo smartphone rispetto al portafoglio – potrebbe essere influenzata da viversi fattori. Mentre pare non esserci un particolare legame con il valore economico dell’oggetto in sé, gli italiani sembrerebbero preoccupati soprattutto dalla conseguente gestione dell’incidente. Insomma, i nostri connazionali temono tutti i passaggi burocratici legati a denuncia, richieste, riconfigurazione, perdita di informazioni, disagi immediati etc. Tuttavia, la semplicità della domanda è efficace nel riassumere una componente importante della trasformazione digitale del nostro tempo. Se al momento il portafoglio vince ancora con una percentuale vicina al 60%, è facile immaginare che il prossimo futuro vedrà numeri orientati dall’altra parte.

Donne, giovani e colti i più attenti al proprio smartphone

Le persone che tengono in misura maggiore al cellulare rispetto alla media sono donne, giovani e individui con titolo di studio elevato. In particolare, la preferenza verso la perdita del portafoglio – e alla conservazione del cellulare – cresce con l’aumento dell’intensità di consumo dei servizi online. Il segmento pro-Smartphone è composto in maggior misura da residenti nelle regioni del Centro e del Sud, abitanti in centri medio-grandi e persone single o che vivono in famiglie numerose.

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Il forte impatto dell’Intelligenza Artificiale su manifatturiero, retail e sanità

Posted by Massimo Miceli on
Il forte impatto dell’Intelligenza Artificiale su manifatturiero, retail e sanità

Dai sistemi di smart manufacturing ai dispositivi per di raccogliere e comunicare i dati biometrici dei pazienti in un futuro non troppo lontano si prevede la completa automatizzazione di una serie di processi svolti dagli esseri umani. E i settori manifatturiero, retail e sanità sono i tre ambiti su cui l’Intelligenza artificiale avrà un impatto maggiore. Le nuove tecnologie, e in particolare l’AI, saranno presto in grado di sostituirsi all’uomo nello svolgimento di alcune mansioni, migliorando al contempo il business aziendale. Ma le aziende che resteranno indietro nell’adozione di queste tecnologie subiranno un gap competitivo difficilmente colmabile. È quanto emerge da una ricerca condotta dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha analizzato 183 report per definire l’impatto di Intelligenza artificiale e Blockchain sui modelli di business.

Aumento dell’automazione e ottimizzazione delle linee di produzione

Per il settore manifatturiero il 16% delle fonti esaminate dalla ricerca parla di un aumento dell’automazione nei processi di produzione e dell’ottimizzazione delle linee di produzione. In particolare, questo avverrà creando in misura sempre maggiore sistemi di smart manufacturing, ovvero macchinari con nuove capacità cognitive e di apprendimento in grado di migliorare il monitoraggio, l’auto-correzione dei processi e l’aumento della produzione on-demand, su richiesta.

Prodotti e servizi più personalizzati, e dispositivi per raccogliere i dati biometrici dei pazienti

Nel retail, secondo il 15% delle fonti, queste nuove tecnologie già ora permettono di offrire prodotti e servizi più personalizzati, di incrementare l’engagement del cliente e aumentare le vendite. Il maggior impatto però sarà nel settore sanitario (13% delle fonti), dove la possibilità è quella di monitorare lo stato di salute dei pazienti, sia all’interno degli ospedali sia presso le abitazioni private, grazie a dispositivi in grado di raccogliere e comunicare i dati biometrici dei pazienti, riporta Ansa.

AI, un contributo potenziale di 15 trilioni di dollari nel 2030

“Le aziende che per prime adotteranno tali tecnologie, integrandole nelle proprie strategie aziendali, creeranno un gap competitivo difficilmente colmabile dalle altre – spiega Carlo Bagnoli, docente e ideatore dello Strategy Innovation Forum, che ha realizzato il report -. Secondo Gartner (la società di consulenza strategica, ricerca e analisi nel campo della tecnologia dell’informazione) il 59% delle aziende non ha ancora formulato vere e proprie strategie di Intelligenza Artificiale – continua Bagnoli – ma ormai è chiaro che questa tecnologia produrrà i maggiori cambiamenti nel mondo del business”.

Tanto che nel 2030 potrebbe apportare un contributo potenziale di 15 trilioni di dollari all’economia mondiale.

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Gli italiani dicono stop a plastica, viaggi in aereo e condizionatori

Posted by Massimo Miceli on
Gli italiani dicono stop a plastica, viaggi in aereo e condizionatori

Limitare l’uso della plastica nell’alimentazione e privilegiare comportamenti sostenibili sono al centro dei buoni propositi per il 2020 degli italiani. Il 94% dei nostri connazionali infatti dice di voler smettere di utilizzare le bottiglie di plastica, e il 66% lo ha già fatto. Una scelta che ci pone al primo posto in Europa insieme a Spagna, Portogallo e Malta. Alta anche la percentuale (93%) degli italiani che ha l’intenzione di acquistare più prodotti alimentari locali, con il 48% che già lo fa. E il 77% afferma di programmare meno spostamenti in aereo per contrastare i cambiamenti climatici. Un’intenzione che il 30% già mette in pratica. Sono i risultati della II edizione dell’Indagine della Bei (Banca europea per gli investimenti), sul clima, condotta con Bva, società di consulenza specializzata in ricerche di mercato.

Prodotti alimentari, rifiuti, trasporti

La sostenibilità in materia alimentare è al centro dell’impegno dei cittadini italiani. Il 93% cerca attivamente di comprare più prodotti locali e stagionali e il 48% lo fa sistematicamente. Gli italiani si dicono anche pronti a modificare la loro alimentazione, con il 73% che ha ridotto il consumo di carne rossa. Inoltre, il 97% degli italiani non usa più prodotti in plastica, o ne ha ridotto il consumo. In particolare, il 94% ha l’intenzione di smettere di comprare le bottiglie di plastica, e il 96% di comprare meno prodotti imballati con la plastica. Quando si tratta di optare per mezzi di trasporto più ecocompatibili poi il 69% degli italiani dice di scegliere di camminare oppure di prendere la bicicletta per gli spostamenti giornalieri. Solo il 54% usa i trasporti pubblici, riporta Adnkronos.

Vacanze, abitazione, marchi e società

Sempre secondo l’indagine, il 77% degli italiani si trova d’accordo con l’idea di fare meno viaggi in aereo per combattere i cambiamenti climatici, percentuale superiore di due punti rispetto alla media europea (75%). Per il 30% degli italiani si tratta già di una pratica consueta. Analogamente, l’86% opterebbe per il treno per percorrenze pari o inferiori a cinque ore. Il 38% degli italiani, inoltre, ha ridotto l’uso dei condizionatori, e chi è disposto a non accenderli più nell’anno nuovo raggiunge il 75%. Inoltre, il 60% della popolazione intende passare a un fornitore di energia verde, mentre il 22% sostiene di averlo già fatto.

Il 79% dei giovani scende in piazza per il clima

Il 79% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni ha partecipato, o parteciperà, a manifestazioni a favore del clima, cifra che scende al 69% per la fascia di età compresa tra i 30 e i 64 anni. E il 54% degli italiani intende investire in fondi verdi, e l’11% dice di averlo già fatto.

Anche i cittadini di altre parti del mondo si dimostrano disposti ad agire fattivamente contro i cambiamenti climatici. Sul tema della riduzione del consumo della plastica, ad esempio, il consenso è chiaro. L’81% degli americani, il 93% degli europei e il 98% dei cinesi dicono di aver l’intenzione di comprare meno prodotti di plastica.

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Con la Blockchain le Pmi difendono il Made in Italy: progetto pilota nel tessile

Posted by Massimo Miceli on
Con la Blockchain le Pmi difendono il Made in Italy: progetto pilota nel tessile

Un progetto per la difesa del Made in Italy sui mercati internazionali, che contribuisce alla lotta alla contraffazione e al contempo garantisce il supporto alla competitività delle nostre imprese manifatturiere. Sfruttando il potenziale abilitante del digitale, il progetto pilota dal titolo La Blockchain per la tracciabilità del Made in Italy, utilizza infatti la tecnologia della Blockchain al fine di promuovere l’eccellenza dei nostri prodotti sui mercati. Il progetto, presentato al dicastero, vede in prima fila il Ministero dello Sviluppo Economico, con il supporto di Ibm e la collaborazione di associazioni e aziende della filiera del tessile italiano.

Un primo modello sperimentale con una visione a lungo termine

Si tratta di un primo modello sperimentale, che risponde a precisi bisogni e che può crescere con un approccio progressivo e una visione a lungo termine, oltre a risultare di facile replicabilità anche in altri contesti industriali.

“La piccola e media impresa ha oggi il forte bisogno di un sostegno sistemico per poter migliorare la trasparenza e la tutela dei propri marchi”, ha commentato il ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli -. La tecnologia Blockchain offre enormi potenzialità – ha sottolineato il ministro – in particolare per la filiera del tessile e della moda, senza gravare sui costi sostenuti dalle imprese”.

“Competere nei mercati globali assicurando la massima trasparenza e tracciabilità”

“Oggi presentiamo i risultati di una prima sperimentazione del Mise che utilizza la Blockchain e le tecnologie basate sui registri distribuiti – continua il ministro Patuanelli -. Stiamo lavorando a livello europeo nell’ambito della European Blockchain Partnership al fine di esportare il modello italiano di protezione delle filiere produttive attraverso le tecnologie emergenti. Pensiamo che in questo ambito il nostro Paese possa giocare un ruolo di leader a livello comunitario”. Dal canto suo, riporta a Ansa, il presidente e amministratore delegato di Ibm Italia, Enrico Cereda, ha spiegato che “l’apertura alla competizione dei mercati globali pone il brand Made in Italy nella condizione di dover assicurare la massima trasparenza e tracciabilità.

Garantire e differenziare i prodotti in termini di qualità e sostenibilità

“L’uso della Blockchain – ha sottolineato Cereda – è l’innovazione che può consentire alle nostre imprese di garantire i propri prodotti, differenziandoli in termini di qualità e sostenibilità”. Questo, inoltre, “permetterà ai consumatori di scegliere con la massima consapevolezza”, ha aggiunto l’AD Ibm.

Con Ibm la fase di sperimentazione ha prodotto “un primo prototipo basato su piattaforma Blockchain, messa a disposizione delle aziende partecipanti via Cloud – si legge all’interno del comunicato stampa ufficiale del Mise -. Come caso di riferimento è stato scelto quello di un’azienda che emette al suo fornitore un ordine per un lotto di lino, verifica che la fibra sia certificata come biologica e ne realizza delle camicie per un particolare brand”.