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Gli italiani e il risparmio energetico: cambiano abitudini e stili di vita

Posted by Massimo Miceli on
Gli italiani e il risparmio energetico: cambiano abitudini e stili di vita

Secondo lo studio ‘Italiani, risparmio e buone pratiche’, promosso da Samsung e realizzato in collaborazione con Human Highway, il 69,5% degli italiani è estremamente attento a limitare i consumi, ed è disposto a modificare il proprio stile di vita.
Insomma, negli ultimi due anni gli italiani pongono sempre più attenzione agli sprechi, introducendo nuove routine e abitudini di consumo quotidiane. Tra le attitudini maggiormente modificate, il consumo di energia elettrica in casa (55,6%), lo spreco di cibo (52,2%), e il consumo di acqua (51,8%).
Cambiamenti che interessano tutte le fasce di età, ma che vedono i GenZ più sensibili allo spreco alimentare (62,8% vs 45,8% Senior), gli Adulti al consumo di gas (53,4%), e i Millennials all’uso dell’aria condizionata (45,9%).
Le motivazioni principali alla base del cambio di atteggiamento? Maggiore attenzione generale allo spreco (57,2%) e i rincari degli ultimi anni (55,3%).

Le condizioni economiche pesano più della preoccupazione per l’ambiente

La preoccupazione legata alle condizioni economiche pesa sempre più sullo stile di vita degli italiani, tanto da superare l’attenzione all’ambiente (42%). In questo senso, svolge un ruolo determinante anche il cambiamento climatico, che per il 23% rappresenta il fattore principale dietro alle nuove abitudini di consumo.
E se le donne (59,5%) più degli uomini (54,7%) dichiarano di aver modificato il proprio atteggiamento per una maggiore attenzione a spreco e rincari, dal punto di vista generazionale sono Adulti e Senior ad aver modificato i propri comportamenti più di GenZ e Millennials.

Le azioni antispreco quotidiane 

Se 2 intervistati su 3 dichiarano di riciclare il più possibile 1 su 3 preferisce l’utilizzo della bicicletta o una camminata rispetto all’auto, e il 7% non utilizza l’auto se da solo.
In casa, poi, 7 su 10 dichiarano di spegnere le luci (73,5%) e 1 su 2 utilizza gli elettrodomestici come lavatrice, asciugatrice e lavastoviglie solo negli orari in cui consumano meno (51,3%).
Anche in questo caso le donne si confermano più attente a spegnere le luci in casa (78,7% vs 68%) e utilizzare gli elettrodomestici negli orari in cui consumano meno (55,9% vs 46,4%), mentre dal punto di vista generazionale Adulti e Senior sono i più attivi.

Smart home e smartphone aiutano a ridurre e controllare i consumi

In un’epoca dove la tecnologia può essere di aiuto i sistemi di smart home offrono una soluzione per avere maggiore controllo sui consumi.
Il 22,7% vorrebbe fare affidamento a un’app unica che aiuti a tracciare accensione e spegnimento di elettrodomestici e luci.
Un ottimo modo di risparmiare però è conoscere i consumi di ogni singolo elettrodomestico, e lo smartphone è considerato il dispositivo di maggiore aiuto nel risparmio energetico (30,9%).
Ma è il momento dell’acquisto di un elettrodomestico una delle fasi per le quali ci si prepara al meglio, e tra le caratteristiche considerate importanti al primo posto c’è l’affidabilità (87,9%), seguita da classe energetica (87,3%), prezzo (85,1%), funzioni eco e risparmio (79,3%).

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Inflazione e TFR: alle Pmi la rivalutazione costa 6 miliardi in più

Posted by Massimo Miceli on
Inflazione e TFR: alle Pmi la rivalutazione costa 6 miliardi in più

I dipendenti delle piccole imprese hanno la possibilità di trasferire il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) in un fondo di previdenza complementare, oppure di lasciarlo in azienda. Ipotesi, quest’ultima, scelta da buona parte dei dipendenti.

Ogni anno, pertanto, come previsto dalla legge, l’ammontare del TFR accantonato viene rivalutato dell’1,5%, a cui si aggiunge il 75% della variazione dell’inflazione conseguita a dicembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Ma quest’anno il boom dell’inflazione ha causato una forte rivalutazione de TFRl, che quest’anno alle imprese con meno di 50 dipendenti potrebbe costare mediamente 1.500 euro in più a dipendente. Per un extracosto stimato dall’Ufficio studi della CGIA di almeno 6 miliardi.

Un extracosto per dipendente fino a 2.594 euro

Pertanto, l’Ufficio studi della CGIA ipotizza che per un lavoratore che timbra il cartellino da 5 anni presso la stessa azienda la rivalutazione del suo TFR provocherà nel bilancio 2023 un incremento dei costi pari a 593 euro rispetto a quanto è stato riconosciuto nel periodo che va dalla sua assunzione fino al 2020.
Se, invece, l’anzianità lavorativa è di 10 anni, l’aggravio è di 1.375 euro, con 15 anni di servizio, 2.003 euro, e se il dipendente varca le porte dell’azienda da 20 anni l’extracosto tocca 2.594 euro 

Tendenzialmente, i lavoratori dipendenti delle piccole imprese hanno un’anzianità di servizio più contenuta dei colleghi occupati nelle realtà più grandi, che in virtù della corresponsione di retribuzioni più ‘pesanti’ presentano un turn-over meno accentuato.

Gran parte del sistema produttivo è in difficoltà

Il numero dei lavoratori dipendenti delle piccole aziende che hanno trasferito il TFR nei fondi pensione è contenutissimo.
Ipotizzando che quanti hanno scelto di non trasferirlo in un fondo pensione complementare siano 4,3 milioni (66% circa) e abbiano un’anzianità di servizio media stimata di 10 anni, la variazione della rivalutazione del TFR è stata stimata ad almeno 6 miliardi.

Insomma, per il milione e mezzo di imprese con meno di 50 addetti la fiammata inflazionistica avrebbe comportato, in materia di TFR, una stangata da brividi, che sommata agli effetti riconducibili all’aumento dei tassi di interesse ha messo in difficoltà la gran parte del sistema produttivo del nostro Paese.

Imprese di Vibo Valentia in assoluto le più penalizzate

In mancanza dei dati riferiti al numero di lavoratori dipendenti occupati nelle imprese con meno di 50 addetti, che hanno deciso di trasferire il proprio TFR nei fondi pensione, si può ipotizzare che le realtà imprenditoriali finanziariamente più colpite siano quelle ubicate nei territori dove il peso delle piccole aziende in termini di addetti è maggiore.

Pertanto, la situazione più critica dovrebbe aver interessato il Mezzogiorno, in particolare Vibo Valentia, dove il 91% delle imprese con dipendenti presenti in provincia ha meno di 50 addetti.
Seguono Trapani (89,3%), Agrigento (88,7%), Nuoro (88,3%), Campobasso (86,1%), Prato (85,7%), Grosseto (85,6%), Cosenza (85,1%), Imperia (84,7%) e Barletta-Andria-Trani (84,3%).

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Migliora l’occupazione per i giovani diplomati e laureati

Posted by Massimo Miceli on
Migliora l’occupazione per i giovani diplomati e laureati

Buone notizie sul fronte dell’occupazione, almeno per i giovani italiani che si sono impegnati un po’ di più sui libri. Nel 2022, tra gli under 35 con un titolo di studio conseguito da uno a tre anni,  si è registrato un aumento significativo del tasso di assunzione. Tra i diplomati, il tasso di occupazione è salito al 56,5%, mentre tra i laureati è arrivato al 74,6%, registrando un incremento rispettivamente di 6,6 e 7,1 punti percentuali rispetto al 2021. Per i laureati, questo valore ha superato di 4 punti percentuali il livello precedente alla crisi del 2008. Tuttavia, resta evidente il divario occupazionale con l’Europa.

Differenze sostanziali da Nord a Sud

Secondo un rapporto dell’Istat, nel Mezzogiorno i laureati tra i 30 e i 34 anni registrano un tasso di occupazione del 69,9%, ben 20 punti percentuali inferiore rispetto al Nord, che ha invece un tasso del 89,2%. Inoltre, se i genitori hanno un basso livello di istruzione, un giovane su quattro abbandona gli studi precocemente, mentre solo uno su dieci riesce a conseguire un titolo superiore.
Al contrario, se almeno un genitore è laureato, le quote si riducono a meno di tre su 100 che abbandonano gli studi e circa sette su 10 conseguono un titolo terziario.

Oltre il 60% degli italiani ha un diploma, ma il resto d’Europa fa meglio

In Italia, nel 2022, il 63,0% della popolazione tra i 25 e i 64 anni possiede almeno un titolo di studio secondario superiore, un valore simile a quello della Spagna (64,2%), ma notevolmente inferiore a Germania (83,2%), Francia (83,3%) e alla media dell’UE27 (79,5%). Anche la quota di coloro che hanno conseguito un titolo di studio terziario (20,3%) è più bassa della media europea (34,3%), rappresentando appena la metà di quanto registrato in Francia e Spagna (rispettivamente il 41,6% e il 41,1%).

Diminuisce il divario fra diplomati e laureati

Tra la popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione è aumentato tra il 2021 e il 2022 di 1,3 punti percentuali per chi possiede un titolo terziario e di due punti percentuali per i livelli di istruzione medio-bassi. Ciò ha portato a una leggera diminuzione del divario tra i tassi di occupazione tra laureati e diplomati, che era cresciuto nei due anni precedenti, principalmente a causa degli effetti contenuti della pandemia sull’occupazione dei laureati nel 2020 e del loro più significativo miglioramento nel 2021.

Nel 2022, il tasso di occupazione dei laureati ha raggiunto l’83,4%, superiore di 11 punti percentuali rispetto ai diplomati (72,3%) e di 30 punti percentuali rispetto a chi ha al massimo un titolo secondario inferiore (53,3%). Il tasso di disoccupazione tra i laureati è invece più basso, al 3,9%, rispetto a diplomati e non laureati, con differenze di 2,6 e 7,0 punti percentuali rispettivamente. Questi dati confermano l’importante “premio” occupazionale legato all’istruzione, evidenziando come il livello di istruzione sia un determinante fondamentale per la probabilità di trovare lavoro.