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Fake news, gli italiani sanno riconoscerle?

Posted by Massimo Miceli on
Fake news, gli italiani sanno riconoscerle?

Gli italiani sanno riconoscere le fake news? E come si rapportano al vasto – e non sempre attendibile – mondo dell’informazione? Questo difficile rapporto tra verità e bufale è stato al centro di una recente ricerca Ipsos per IDMO (Italian Digital Media Observatory), l’hub nazionale contro la disinformazione coordinato dal centro di ricerca Data Lab dell’Università Luiss Guido Carli, che ha esplorato la fiducia e i comportamenti degli italiani nei confronti dell’informazione e delle fake news. Dall’indagine emerge come gli italiani non hanno dubbi sul significato stesso di “fake news”, ne sono a conoscenza e il 73% dichiara di essere in grado di riconoscerle (percentuale che aumenta a quasi l’80% tra i più giovani). La medesima fiducia, però, non è risposta nella capacità altrui: soltanto il 35% crede che le altre persone siano in grado di distinguere notizie vere da notizie false. In generale, tra i più giovani (18-30 anni) e i più scolarizzati le attività di controllo per analizzare l’attendibilità e affidabilità delle informazione online e, quindi, proteggersi dalla disinformazione sono maggiormente frequenti. 

I giovani credono di essere più preparati

La stragrande maggioranza degli italiani (7 su 10) si informa esclusivamente tramite fonti gratuite o solo 1 su 4 è disposto a pagare per accedere ad informazioni di cui si fida. Il termine “fake news” è ampiamente conosciuto e associato a diverse tipologie di notizie. Quelle considerate più diffuse e più pericolose dagli intervistati sono le notizie tendenziose, ovvero comunicate o interpretate in modo intenzionalmente modificato allo scopo di favorire particolari interessi. La maggioranza – più del 60% – sostiene che chi diffonde fake news sia consapevole del fatto che sono notizie false e che la principale motivazione sia economica (37%). Il restante 36% sostiene che chi diffonde fake news nella maggior parte dei casi pensa che la notizia sia vera e che la principale motivazione sia sociale (29%). Tra i più scolarizzati il quadro cambia: è il 57% a ritenere che chi diffonde una fake news non sia consapevole del fatto che la notizia sia falsa. L’indagine ha anche rilevato un ampio scostamento tra la percezione di essere personalmente in grado di distinguere fatti reali dalle fake news (73% crede di esserne in grado) e la considerazione di quanto le altre persone siano capaci di farlo (solo il 35% crede che siano in grado). Tra i più giovani e i più scolarizzati è più diffusa la fiducia nella propria capacità di distinguere fatti reali da fake news (quote sopra al 75%), mentre tra i più adulti è maggiormente diffusa la fiducia nella capacità delle altre persone in Italia (40%).

Come si scopre una bufala?

Quasi il 90% degli intervistati sostiene che la disinformazione sia diffusa in Italia e una quota simile si dichiara preoccupato per questo. Quest’ultimo dato risulta più basso tra i più giovani dove i preoccupati ammontano al 78%. Il 90% degli italiani dichiara di fare almeno un’attività di controllo davanti a un’informazione online. Le due più frequenti sono il controllo della credibilità dell’informazione e il controllo dell’informazione su diversi siti web e risultano eseguite da circa 1 cittadino su 2.
A seguire, il 44% controlla l’autenticità dell’indirizzo del sito web e il 31% controlla se regolarmente aggiornato. Altre attività vengono svolte da meno del 30% e non risultano essere particolarmente diffuse nel nostro Paese. Tra i più giovani e i più scolarizzati tutte le attività di controllo sono più frequenti: il 61% si accerta di autori e link, il 56% fa comparazioni con altri indirizzi web, il 38% bada che il sito sia aggiornato. Percentuali che crollano tra i più adulti e i meno scolarizzati.  

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La lingua inglese è un “motore mentale” per gli italiani

Posted by Massimo Miceli on
La lingua inglese è un “motore mentale” per gli italiani

L’inglese è considerato dagli italiani uno strumento fondamentale non solo a livello professionale, ma anche per una maggiore apertura mentale verso altre culture e per stringere nuovi rapporti. Secondo i risultati della ricerca commissionata da Novakid, la scuola di inglese online, all’Istituto AstraRicerche, per oltre quattro italiani su dieci l’inglese è un “motore mentale” che ha spinto a stringere rapporti più stimolanti. In pratica, chi conosce l’inglese oggi probabilmente non sarebbe la stessa persona se non l’avesse studiato, non avrebbe avuto la stessa apertura verso le culture straniere, e probabilmente non avrebbe fatto le stesse esperienze in tema di viaggi. Grazie alla spinta ricevuta dalla conoscenza dell’inglese gli italiani si definiscono persone diverse. Una spinta ancora più importante per i giovani, per i quali la padronanza della lingua può cambiare le future opportunità sociali (87%) e lavorative (80%).

Fondamentale per i più giovani e per fare carriera

Secondo gli intervistati, una buona padronanza dell’inglese è essenziale soprattutto per i più giovani: il 59% dichiara sia importantissimo per i bambini nell’ambito di un percorso di apprendimento più fluido, per il 66% è essenziale per gli adolescenti, che un domani dovranno affacciarsi al mondo del lavoro, e il 62% lo ritiene fondamentale per i giovani alle prese con i primi passi della propria carriera.
Ma l’Inglese è ritenuto fondamentale (85%) non solo per i più giovani, ma anche per gli adulti e per i soggetti che hanno difficoltà lavorative. Il 67% degli intervistati è convinto che incida nell’occupazione e nel percorso di carriera, e il 28% pensa addirittura che faccia la differenza.
La percentuale più alta di chi lo ritiene fondamentale è composta principalmente da giovani dai 18-24 anni, e dal range più senior, dai 55-65 anni.

Una funzione sociale e culturale

Ma l’inglese non è considerato utile solo per la vita lavorativa: il 49% degli intervistati dichiara che la conoscenza di questa lingua è stata più che utile anche nella vita sociale e di relazione. In particolare, la conoscenza dell’inglese ha aiutato gli intervistati ad ‘aprirsi’ al mondo, alle culture straniere (56%), a viaggi ed esperienze (54%), e ai rapporti di amicizia (41%). È proprio questa funzione sociale e culturale dell’inglese che spinge molte persone a prediligere un metodo di apprendimento autonomo e personale, fatto di azioni quotidiane.

A mettere in crisi è soprattutto la pronuncia

Tanto che il 52% afferma di avere migliorato le proprie competenze grazie alla visione di contenuti multimediali in lingua, il 49% dà il merito a viaggi in paesi anglofoni, il 43% alla lettura di libri in inglese e il 40% all’ascolto di musica internazionale. Quanto agli aspetti della lingua che la popolazione italiana ritiene più difficili e ostici è la ‘conversazione’ l’elemento che più mette alla prova gli intervistati. Il 61% ritiene infatti difficile conseguire un buon livello di confidenza nel parlare, mentre il 59% ha difficoltà nell’ascolto e nella comprensione. A mettere in crisi gli italiani è soprattutto la pronuncia (difficile per il 69%), ma anche il vocabolario e la grammatica (rispettivamente 58% e 57%).

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Il mercato dei farmaci generici

Posted by Massimo Miceli on
Il mercato dei farmaci generici

L’Osservatorio sul sistema dei farmaci generici realizzato da Nomisma per Egualia (già Assogenerici) ha esaminato le principali voci di bilancio di 335 società di capitali, divise in 81 imprese di farmaci generici e 254 di farmaci non generici.

“Osservando l’andamento del volume d’affari delle imprese di farmaci generici si nota una crescita strutturale tra il 2014 e il 2019: i ricavi sono aumentati del +8% ogni anno e del +47,9% complessivamente, attestandosi nel 2019 a oltre 4,3 miliardi di euro”, commenta Lucio Poma, coordinatore scientifico Nomisma. Inoltre, nel periodo 2014-2019 l’incremento occupazionale supera il 31% tra le imprese di farmaci generici, e a fine periodo il numero di dipendenti si attesta a oltre 8.600 unità, 400 in più rispetto all’anno precedente.

Redditività ed EBITDA meno performanti dei farmaci non generici 

Nonostante un volume di ricavi che cresce a un ritmo più sostenuto, le imprese di farmaci generici presentano una minor capacità di generare redditività rispetto alle società che si occupano di farmaci non generici. Il margine operativo lordo (EBITDA) registra una tendenza, rispetto ai ricavi, strutturalmente meno performante per le imprese di farmaci generici, oscillando nel periodo 2014-2019 tra il 10,6% del 2019 e l’11,3% del 2017. Le imprese che si occupano di farmaci non generici, invece, mostrano valori costantemente superiori, attestandosi al 15,1% nel 2019, segnalando una distanza di redditività che tende ad amplificarsi.

La farmaceutica territoriale

Nel 2020 la spesa farmaceutica territoriale totale, pubblica e privata, ammontava a 20,5 miliardi di euro, -2,6% rispetto al 2019, allineandosi a valori simili a quelli del 2018. L’analisi per tipologia di farmaci venduti mette in evidenza un dato interessante: fra il 2009 al 2020 le vendite di generici sono aumentate del 119% a volume e del 148% a valore. Parallelamente si è verificata una graduale diminuzione della presenza di farmaci coperti da brevetto, le cui confezioni sul mercato si sono ridotte di circa 328 milioni di unità (-65%), circa -5,6 miliardi di euro (-63%) a valore. Ciò ha determinato una riconfigurazione delle quote delle tipologie di farmaci sul mercato totale, e dal 2009 al 2020 il peso dei farmaci generici è passato dal 14% al 30% in volumi e dal 7% al 21% in valori.

La spesa per la farmaceutica ospedaliera

Al fianco della farmaceutica territoriale, il canale di vendita più importante dei farmaci generici è costituito dalla farmaceutica ospedaliera. I dati 2020 evidenziano come l’emergenza pandemica abbia ridotto i consumi ospedalieri a volume, passati da 1,5 miliardi di unità minime frazionabili di medicinali a 1,3 miliardi (-14,1%). Tuttavia, i risultati dell’ultimo anno non hanno alterato le quote sul mercato. “Continua, infatti, l’ascesa dei farmaci generici, che nonostante il decremento assoluto in termini di incidenza sul totale mantengono il proprio posizionamento, passando dal 29,8% del 2019 al 30% del 2020”, prosegue Poma. Inoltre, si conferma il trend favorevole che ha visto aumentare le vendite dell’11,5% nell’ultimo quadriennio, con un guadagno di quota del 6,6%.