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Mi costi, ma quanto mi costi? 126 euro l’anno per la telefonia mobile

Posted by Massimo Miceli on
Mi costi, ma quanto mi costi? 126 euro l’anno per la telefonia mobile

In media, gli italiani spendono 126 euro l’anno per il cellulare. Il dato relativo alla spesa per le tariffe di telefonia mobile emerge dall’indagine che Facile.it ha commissionato agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, realizzata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. 

Chi spende di più e chi spende di meno

In realtà, in base ai dati raccolti emerge che il 17% dei rispondenti, pari a circa 5,1 milioni di individui, spende decisamente meno, cioè 72 euro l’anno; solo per il 5% dei clienti il costo supera i 240 euro annui. Tra i dati che saltano all’occhio, la correlazione tra prezzo medio e fascia anagrafica. La bolletta più pesante è infatti quella dei 65-69enni (156 euro l’anno) e quella dei 70-74enni (138 euro), probabilmente perché meno abituati a destreggiarsi tra le offerte degli operatori. A riprova di questo, i campioni del risparmio risultano essere i 25-34enni e i 35-44enni, che in media, rispettivamente, spendono 119 euro e 115 euro l’anno. 

Traffico dati, la media è di 41,7 GB

Per quanto riguarda il traffico dati, dalla ricerca emerge che gli italiani possono contare in media su 41,7 GB al mese. E se, da un lato, l’11% del campione dispone di solo 5 o meno GB al mese, dall’altro ci sono 3,4 milioni di italiani che hanno offerte con traffico dati superiore ai 70 GB mensili. Nonostante un volume di dati mediamente importante, non sempre i GB a disposizione sono sufficienti; il 20% dei rispondenti, pari a circa poco meno di 6 milioni di individui, dichiara di fare fatica ad arrivare a fine mese e per questo deve centellinare l’uso dei dati, per non finirli. 

Due cellulari per 7,3 milioni di italiani

Gli italiani amano il cellulare, si sa. E non ne possono fare a meno. L’indagine realizzata per Facile.it da mUp Research e Norstat evidenzia che in media ogni italiano ha 1,3 telefoni cellulari a testa. Questo non solo significa che la quasi totalità della popolazione ha un dispositivo mobile, ma anche che 7,3 milioni ne hanno 2 e ben 1,7 milioni ne possiedono 3 o più.
Un altro dato interessante è l’età del primo cellulare. L’indagine ha messo in luce come negli ultimi 20 anni, cioè da quando i telefonini sono diventati prodotti di massa, l’età in cui se ne entra in possesso sia costantemente calata. Se i quarantacinquenni di oggi hanno ricevuto il primo cellulare intorno ai 23-24 anni, i venticinquenni lo hanno avuto a 14 anni e i diciottenni addirittura a 12 anni. Ed è facile immaginare che l’età media continuerà ad abbassarsi  in futuro.

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Se la casa è multitasking lo smart working si condivide con i familiari

Posted by Massimo Miceli on
Se la casa è multitasking lo smart working si condivide con i familiari

La casa degli italiani è diventata sempre più multitasking, tanto che nell’ultimo anno il 63,6% di loro ha condiviso con familiari o conviventi momenti di smart working. Questo ha certamente avuto un impatto sui rapporti interpersonali, perché il connubio casa-lavoro spesso si è rivelato molto utile a comprendere aspetti diversi delle persone con cui si convive, nonché dell’attività che svolgono. Ma com’è vivere da smart worker, o con chi lo fa, anche solo saltuariamente? Alla domanda risponde un’indagine InfoJobs attraverso le opinioni di 5.000 utenti.

Il connubio casa-lavoro può essere utile a comprendersi meglio

Dalle risposte degli italiani emerge che condividere il lavoro a casa aiuta a capire cose che prima proprio non si sapevano del lavoro altrui (30%), anche perché prima di questa “prova” ci si immaginava una realtà professionale molto diversa da quella reale (15,4%). Di contro, per il 28,8%, la vita lavorativa è stata invece confinata senza osmosi con quella privata, complici gli spazi molto ben separati. Ma se il connubio casa-lavoro altrui c’è stato, si è rivelato molto utile soprattutto per far comprendere diversi aspetti, come le capacità professionali e il valore delle persone care nel luogo di lavoro (36%), poter rispondere finalmente alla domanda: “ma tu… alla fine, che lavoro fai?” (26,7%), o semplicemente comprendere motivi di stress da lavoro e preoccupazioni che manifesta chi vive insieme (20,5%), così come le dinamiche interne e le relazioni con i colleghi (16,8%).

L’impatto sui rapporti interpersonali

Sia che si tratti di una relazione affettiva o di semplici coinquilini, aver provato la vita “smart”, ha certamente avuto un impatto sui rapporti interpersonali. Per il 31,5% ha permesso di avere più tempo da trascorrere insieme, riuscendo a conciliare le esigenze e facendo cose prima irrealizzabili, come pranzi o colazioni a prova di spot tv. La nuova normalità ha creato un terreno fertile per nuovi argomenti di confronto e scambio (21,7%), ma ha anche rafforzato la complicità (21,3%). Ovviamente in tutto questo c’è anche un lato oscuro: per il 19% la gestione degli spazi è stata resa decisamente complessa.

Il timore di apparire nelle videocall altrui

Le complessità si manifestano in particolare nella difficoltà di godere in libertà dello spazio domestico (44,4%), senza timore di intralciare le videocall altrui o disturbare. Per il 28,9% il problema maggiore, riporta Adnkronos, è stata infatti la necessità di organizzare tempi e spazi per non intralciarsi a vicenda. Al contrario, il connubio lavoro-vita privata ha fatto sì che il 35% delle persone abbia supportato partner/familiari o coinquilini a districarsi su temi lavorativi, e il parere è stato richiesto soprattutto per trovare un’idea (24,6%). D’altra parte, invece, per il 33,4% il lavoro è un argomento tabù e non se ne discute in casa.

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Cambiano le regole per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro

Posted by Massimo Miceli on
Cambiano le regole per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro

Se fino a qualche anno fa il curriculum vitae era di fatto l’unico strumento in mano ai selezionatori per poter ottenere una descrizione preliminare delle competenze di un candidato, oggi social network come LinkedIn offrono un’interessante, e alternativa, fonte di informazioni. E ancora, se i colloqui da remoto tra candidato e selezionatore erano una rarità, oggi, e soprattutto dallo scoppio della pandemia in poi, sono diventati la prassi. Ma le regole cambiano anche per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, e a cambiare è anche il modo con cui i selezionatori analizzano i curricula, poiché ora pongono un’attenzione inferiore agli anni di esperienza del candidato a fronte di un’attenzione superiore dedicata alle capacità e alle skills.

Una conseguenza dell’allungarsi delle carriere professionali dei giovani

Uno dei motivi di questi cambiamenti è una delle conseguenze dell’allungarsi delle carriere professionali nelle nuove generazioni.
“Chi è entrato nel mondo del lavoro in questi anni ha davanti a sé un lunghissimo periodo di lavoro, decisamente più ampio ed esteso rispetto a quello che hanno conosciuto i rispettivi genitori e nonni – spiega Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati – il fatto di posticipare sempre più in avanti l’età pensionabile ha anche altri effetti importanti sui meccanismi di selezione”.

Le pause tra un impiego e l’altro non si nascondono più nei cv

“Un career coach, fino a qualche tempo fa, avrebbe consigliato a qualsiasi professionista di ridurre al minimo le pause di carriera, ovvero i mesi ‘vuoti’ tra un’occupazione e l’altra – sottolinea Adami – ogni buco nel curriculum vitae poteva infatti essere visto come una mancanza da parte del candidato alla ricerca di un nuovo lavoro”. Ma oggi le cose iniziano a essere differenti. “Di fronte a una carriera lavorativa della durata di 40 o 50 anni è più che normale, se non perfino talvolta consigliabile, ritagliarsi pause di qualche settimana, o anche di alcuni mesi – continua Adami -. E queste pause non devono più essere nascoste nei curriculum vitae: l’importante è piuttosto essere in grado di spiegare al selezionatore cosa è stato fatto durante quel periodo tra un lavoro e l’altro”.

I ‘buchi’ di carriera permettono di accrescere le proprie competenze

“In un mondo professionale in cui è normale lavorare a lungo e cambiare un numero importante di aziende nel corso della carriera può essere premiante ritagliarsi alcune pause per dedicarsi alle proprie passioni, ripensare i propri obiettivi – precisa Adami -. Il nostro consiglio non è quello di nascondere queste pause, ma anzi di metterle in evidenza, spiegando come questi ‘buchi’ hanno permesso di accrescere le proprie competenze”. Con la situazione lavorativa odierna, quindi, si potrebbero guadagnare punti sugli altri candidati proprio a causa di una o più pause di carriera se particolarmente significative.