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Criminalità: i dati reali e la percezione dei cittadini italiani

Posted by Massimo Miceli on
Criminalità: i dati reali e la percezione dei cittadini italiani

Se la sicurezza rappresenta un argomento centrale della comunicazione politica e dell’informazione, è necessario distinguere tra rischio reale e rischio percepito. Sono queste le premesse dell’indagine ‘La criminalità: tra realtà e percezione’, nata nel quadro del Protocollo d’intesa sottoscritto dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale della Polizia Criminale e l’Eurispes.
Di fatto, se dal 2007 al 2022 il totale generale dei delitti in Italia fino al 2020 evidenzia una flessione, durante e dopo la pandemia (nel 2021 e nel 2022) la ‘curva’ risale. In particolare, nel 2022, i delitti commessi registrati sono 2.183.045, +3,8% rispetto al 2021, soprattutto furti (+17,3%), estorsioni (+14,4%), rapine (+14,2%), e violenze sessuali (+10,9%). In diminuzione, invece, sfruttamento della prostituzione e pornografia minorile (-24,7%), usura (-15,8%), contrabbando (-10,4%), e incendi (-3%).

Delitti di genere: meno maltrattamenti più violenze sessuali

Considerando il quadriennio 2019-2022, nell’ultimo anno si evidenzia un significativo decremento degli atti persecutori e i maltrattamenti contro familiari e conviventi, mentre le violenze sessuali, a fronte di un decremento nel 2020, mostrano un andamento in costante incremento. Inoltre, nel 2022 sono stati registrati 314 omicidi, con 124 vittime donne (+4% vs 2021), di cui 102 uccise in àmbito familiare/affettivo. Di queste, 60 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Il totale degli omicidi commessi, però, registra in generale un calo nel corso degli anni: nel 2007 erano il doppio (632).

I cittadini si sentono sicuri?

Se la casa è il luogo in cui una fetta più ampia del campione si sente al sicuro (81%), l’83,3% afferma di sentirsi sicuro anche a uscire da solo di giorno nella zona di residenza. Le cose cambiano se si tratta di uscire nelle ore serali: il tasso di risposta positiva scende al 67,6%.  Negli ultimi tre anni però la paura di subire reati è aumentata (24,8%), e fra i crimini che più preoccupano gli italiani spiccano furto in abitazione (26,6%), aggressione fisica (17,7%) e la paura di subire uno scippo/borseggio (11,1%). Il disagio sociale viene indicato come prima motivazione alla base della diffusione dei fenomeni criminali (16,6%), e il 9% denuncia un’insufficiente presenza delle Istituzioni dello Stato.

Anche il web fa paura   

Tra i reati percepiti come più pericolosi rispetto al passato c’è il furto di dati personali su Internet (56,2%). Nell’ultimo anno il 14,7% degli italiani ha infatti dichiarato di essere stato vittima di truffe su Internet, e oltre un quinto riferisce di essere stato vittima di truffe negli acquisti online (21,6%).
Il secondo reato informatico più diffuso sono le richieste di denaro con inganno (18,7%), il terzo la sottrazione di dati di autenticazione (17,8%), poi l’inganno da falsa identità (14,4%), e il furto di identità social (13,7%). Un intervistato su 10 ha poi subìto cyber stalking, il 9,1% la violazione dell’account di posta elettronica, e il 6% un’altra forma di ‘violenza digitale’, il revenge porn.
Il 19,6%, inoltre, riferisce di aver avvertito una violazione per aver visto pubblicare online senza consenso foto in cui era presente.

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UE: dal 25 agosto scatta la sorveglianza per 19 Big Tech

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UE: dal 25 agosto scatta la sorveglianza per 19 Big Tech

“L’intera logica delle nostre regole è garantire che la tecnologia serva le persone e le società in cui viviamo, non il contrario”, dichiara Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione Ue con delega al digitale. Dal 25 agosto prossimo 19 Big Tech saranno messe sotto sorveglianza dall’Unione Europea nell’ambito del Digital Services Act (DSA). Obiettivo, obbligare le Big Tech a rispettare gli utenti online e la loro privacy. Le Big Tech coinvolte sono 17 piattaforme web e 2 motori di ricerca che raggiungono almeno 45 milioni di utenti attivi mensili nel territorio della Ue.

Piattaforme e motori di ricerca più trasparenti e responsabili 

In particolare, si tratta di Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Booking.com, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter, Wikipedia, YouTube, Zalando, oltre a Bing e Google Search.
“Il Digital Services Act porterà una significativa trasparenza e responsabilità delle piattaforme e dei motori di ricerca e darà ai consumatori un maggiore controllo sulla loro vita online – ha aggiunto Margrethe Vestager -. Le designazioni fatte oggi sono un enorme passo avanti per far sì che ciò accada”. 

Inizia il conto alla rovescia per la regolamentazione digitale

“Oggi è il D(SA)-Day per la regolamentazione digitale – ha sottolineato Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato interno -. Inizia il conto alla rovescia affinché 19 grandissime piattaforme online e motori di ricerca rispettino pienamente gli obblighi speciali che il Digital Services Act impone loro”.
A seguito della loro designazione, infatti, le 19 società ora dovranno ottemperare, entro quattro mesi, a tutti i nuovi obblighi previsti dal Digital Services Act. Obblighi che mirano a responsabilizzare e proteggere gli utenti online, compresi i minori.

Stop alla pubblicità mirata basata sulla profilazione dei minori

Le piattaforme dovranno inoltre informare gli utenti su chi sta promuovendo gli annunci pubblicitari, e dovranno garantire un elevato livello di privacy, sicurezza e incolumità dei minori. Tanto che non sarà più consentita la pubblicità mirata basata sulla profilazione dei bambini.Tra gli obblighi previsti, riferisce Italpress, rientra anche il divieto di visualizzare annunci pubblicitari basati su dati sensibili dell’utente, come l’origine etnica, le opinioni politiche o l’orientamento sessuale. Inoltre, le piattaforme e i motori di ricerca ‘incriminate’ dovranno adottare misure per affrontare i rischi legati alla diffusione di contenuti illegali online e gli effetti negativi sulla libertà di espressione e di informazione. E dovranno mettere in atto misure di mitigazione, ad esempio, per affrontare la diffusione della disinformazione.

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Quali sono le mosse per pianificare la longevità lavorativa?

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Quali sono le mosse per pianificare la longevità lavorativa?

Come diventare ‘longennials’? Risponde Intoo, società di Gi Group, che condivide alcuni consigli per una pianificazione della propria longevity professionale a seconda dell’età, della storia lavorativa e dei propri bisogni e desideri. Quando ci si affaccia a un’età matura è importante riprogettare le aree della propria esistenza lavorativa, da come e con quanto andare in pensione a come proseguire a lavorare.
Del resto, oggi diversi fattori portano a un ripensamento generale della vita in termini di longevità. Da un lato la riduzione degli assegni pensionistici, dall’80% dell’ultima retribuzione secondo il sistema retributivo al 65% con il passaggio a quello contributivo. Dall’altro, l’allungamento della vita media: gli over 65 oggi sono il 23,5% della popolazione.

Per i 50enni è il momento di svolta

Per i 50enni è spesso l’età del momento di svolta tra rimanere in azienda o uscirne cogliendo tutte le formule professionali disponibili, da libero professionista a consulente a partita Iva, in quota in una società o avviando una propria micro impresa, per mettere a frutto l’esperienza maturata. Importante monitorare sempre la propria situazione previdenziale, per avere come primo obiettivo la continuità contributiva, nonostante l’eventuale discontinuità lavorativa. Per i 60enni questa è l’età in cui valorizzare al meglio l’excursus professionale maturato, comprendendo su quali ambiti diventare un riferimento come coach o mentor, o rilanciandosi in realtà del terzo settore. Utile, poi, prendere in considerazione versamenti volontari se mancano pochi mesi al raggiungimento dei requisiti previsti per le pensioni anticipate, ovvero, 41 anni e 10 mesi se donna, 42 anni e 10 mesi se uomo (fino a il 2026).

Garantirsi la continuità contributiva

Se serve occorre, quindi, valutare le modalità percorribili per il superamento di una possibile discontinuità lavorativa. Come ad esempio, la scelta opportuna delle casse previdenziali se lavoratore autonomo/lavoratore con partita Iva e la valutazione della convenienza se proseguire come dipendente in presenza di offerta di retribuzioni ridotte rispetto al pregresso. La continuità contributiva permette di vagliare meglio le alternative pensionistiche esistenti. Ad esempio, nel caso in cui a una lavoratrice manchino contributi per accedere a Opzione Donna (35 anni di anzianità contributiva), utile anche la valutazione del riscatto di laurea, sia in regime ordinario sia in regime agevolato.

Anche i pensionati possono avere un’attività professionale 

Inoltre, per tutti coloro che anche se pensionati o che hanno già raggiunto il traguardo pensionistico, vogliono proseguire un’attività professionale si aprono prospettive di miglioramenti successivi in termini di valore della propria pensione, in quanto i redditi derivanti da pensione sono compatibili e cumulabili con reddito da lavoro, sia dipendente sia autonomo. Solo alcune pensioni anticipate (ad esempio, Quota 100/102/103) non prevedono questa possibilità fino a quando non si è raggiunta l’età per la pensione di vecchiaia.

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Il lavoro ibrido fa bene alla salute

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Il lavoro ibrido fa bene alla salute

Con il lavoro ibrido i lavoratori sono più sani perché hanno più tempo da dedicare a esercizio fisico, riposo e alimentazione corretta. Secondo una ricerca condotta da IWG il tempo risparmiato grazie alla riduzione del pendolarismo porta a molteplici benefici per la salute e il benessere di chi lavora: perdita di peso, migliori abitudini alimentari, migliore salute mentale e sonno più lungo.
Di fatto, il lavoratore ibrido medio, oggi, dedica all’esercizio fisico 4,7 ore la settimana rispetto alle 3,4 precedenti la pandemia. Le attività più comuni? Camminate, la corsa, ed esercizi per la resistenza.
Quanto al sonno, il tempo in più trascorso a letto ogni mattina equivale a 71 ore (tre giorni) di sonno in più all’anno.

Migliorano le abitudini alimentari

Per il 70% degli intervistati lavorare in modalità ibrida permette di preparare una colazione sana ogni giorno, mentre il 54% ha più tempo da dedicare alla preparazione di pasti nutrienti durante la settimana. Inoltre, consumano più frutta (46%) e verdura fresca (44%), il 20% mangia più pesce e un quarto ha diminuito il consumo di dolci. Inoltre, grazie a più esercizio fisico, riposo migliore e alimentazione più sana il 27% degli intervistati dichiara di aver perso peso dall’inizio della pandemia. Due su cinque (42%) hanno perso tra i 5 e i 9,9 kg, mentre il 23% ha perso più di 10 kg. I principali fattori che hanno contribuito alla perdita di peso sono stati poter dedicare più tempo all’esercizio fisico (65%) e cucinare pasti sani (54%).

Più tempo libero e meno stress

Di fatto, il lavoro ibrido ha ridotto gli spostamenti, quindi ha portato a un risparmio di tempo, ma ha anche portato aumenti di produttività. Quasi quattro persone su cinque (79%) affermano di essere più produttive rispetto al periodo pre-pandemico, soprattutto grazie a minori livelli di stress (47%) e più tempo a disposizione per rilassarsi dopo il lavoro (46%). 
“Anche la gestione dello stress e i legami sociali sono incredibilmente importanti per il benessere mentale, e un equilibrio sano tra lavoro e vita privata, è essenziale per raggiungerli”, commenta la dottoressa Sara Kayat. 

Aumentano produttività e salute mentale

Secondo una ricerca di Nicholas Bloom, economista della Stanford Graduate School of Business, grazie al lavoro ibrido la produttività complessiva è aumentata del 3%-4%. E con una maggiore produttività al lavoro e più tempo libero i vantaggi sono sia per le aziende sia per il personale.
L’81% dichiara di avere più tempo libero rispetto a prima del 2020, e la maggior parte lo impiega in attività che incrementano la salute e il benessere, come trascorrere più tempo con famiglia e amici (55%), fare esercizio fisico (52%) o una breve passeggiata durante la giornata (67%). Tutti fattori, riporta Ansa, che hanno un effetto positivo anche sulla salute mentale. Non sorprende quindi che due terzi degli intervistati (66%) ritengano che la loro salute mentale sia migliorata. 

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Le password del futuro saranno fatte di immagini 

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Le password del futuro saranno fatte di immagini 

Un nuovo studio condotto dai computer scientist dell’Università di Surrey ha mostrato l’efficacia di un sistema di autenticazione basato su immagini chiamato Tim (Transparent image moving) per i telefoni cellulari al fine di ridurre il rischio di attacchi di ‘shoulder surfing’. Tim richiede agli utenti di selezionare e spostare immagini predefinite in una posizione designata per superare i controlli di autenticazione, simili a quelli richiesti per lo shopping online. In pratica, è ora che il mondo si allontani dalle password basate su lettere e numeri e dalle verifiche per i telefoni cellulari, e inizi ad abbracciare soluzioni più sicure basate su immagini. 

Cos’è lo shoulder surfing?

Lo studio ha riscontrato che l’85% degli utenti ritiene che possa aiutare a prevenire il guessing delle password e gli attacchi di shoulder surfing.  Lo shoulder surfing è un attacco in cui qualcuno registra informazioni sensibili, come password o numeri di carte di credito, inseriti da una vittima sullo schermo di un computer o di un dispositivo mobile, guardando sopra la spalla della vittima o da una certa distanza. Gli attacchi di shoulder surfing spesso si verificano in luoghi pubblici affollati come aeroporti, caffè o mezzi pubblici.

I processi di autenticazione basati su immagini e interattivi sono più sicuri

Lo studio ha inoltre scoperto che il 71% dei partecipanti ritiene che Tim sia una soluzione basata su immagini più utilizzabile rispetto ad altre presenti sul mercato.
“Trascorriamo gran parte della nostra vita sui nostri telefoni cellulari e dipendiamo da essi per attività come la banca, lo shopping e per rimanere in contatto con i nostri cari – commenta Rizwan Asghar, coautore del paper per l’Università di Surrey -. È sorprendente quanto poco sia stato fatto in termini di innovazione e progresso per proteggere queste attività e le nostre informazioni più private. Crediamo che i processi di autenticazione basati su immagini e interattivi come Tim rappresentino un passo nella giusta direzione”.

Le “parole d’ordine” basate su testo sono più vulnerabili

“Lo status quo attuale basato su testo offre compromessi tra usabilità e sicurezza – continua Asghar -. Mentre le password basate su testo breve sono facili da ricordare, non sono sufficientemente sicure e rendono vulnerabile al guessing delle password o agli attacchi di shoulder surfing”.
Al contrario, riporta AGI, le password basate su testi lunghi sono vincenti in termini di sicurezza, ma sono incredibilmente difficili per gli utenti da ricordare.
“È promettente che molti dei nostri partecipanti abbiano trovato Tim utilizzabile e non abbiano trovato la curva di apprendimento troppo ripida – aggiunge Asghar -. Ciò suggerisce che il mercato potrebbe essere pronto per alternative basate su immagini per la sicurezza dei dispositivi mobili”.

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La “tempesta perfetta” del 2022 e i trend del futuro 

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La “tempesta perfetta” del 2022 e i trend del futuro 

Nell’edizione 2023 del report Un anno di Tendenze, GS1 Italy ha raccolto una sintesi dei contenuti e dei temi chiave che hanno caratterizzato lo scorso anno.
“La piega, inattesa e drammatica, che hanno preso gli eventi ci ha costretti a fare i conti con uno scenario completamente diverso e quanto mai ingarbugliato – commenta Francesco Pugliese, presidente GS1 Italy -: una ‘tempesta perfetta’ che ha avuto, e avrà ancora a lungo, effetti molto concreti e pratici sulla nostra vita quotidiana”.
I fatti che hanno caratterizzato il 2022 ci hanno infatti traghettato in un mondo diverso, distinto da nuove abitudini e trend emergenti che ci accompagneranno nel corso del 2023, e probabilmente, anche oltre.

Dopo il Covid un altro tsunami sull’economia

Con la guerra russo-ucraina è arrivato un altro tsunami sull’economia, già provata dalla pandemia: il caro bollette si aggiunge a una crisi sociale delle famiglie, e pesa come un macigno sui conti delle aziende. E per le imprese del largo consumo e del retail si tratta di ripensare ai modelli organizzativi interni e alla relazione tra industria e distribuzione. Di fronte all’incalzare dell’inflazione le strategie messe in atto dal consumatore prevedono una spending review dei beni non essenziali, che diventa però anche un nuovo modo di intendere il consumo: più flessibile, variabile, distintivo, frammentato e contraddittorio. Con alcuni punti di riferimento però non negoziabili (la ricerca della convenienza, l’intercambiabilità dei canali di acquisto, la condivisione dei valori), che rendono necessari nuovi strumenti di analisi qualitativa e quantitativa.

Omnicanalità e standard globali

Nella nuova economia digitale i lavori relativi all’innovazione non si fermano, scandagliano nuovi canali e nuove tecnologie, e convergono in una direzione precisa: il rafforzamento dell’omnicanalità declinata nelle forme più diverse. A beneficiarne sono i percorsi di acquisto dei consumatori, ma per le aziende è fondamentale mettere a punto processi efficienti offline e online, per esperienze senza frizioni. Inoltre, il progresso tecnologico a livello globale trae maggiore forza dalle regole di un linguaggio comune, capace di rendere più efficienti i processi e le relazioni professionali, e viceversa.
Il sistema degli standard globali è la pietra miliare su cui si fonda il futuro sostenibile della società contemporanea, delle attività economiche, della salute, e dei consumi.

Sostenibilità e sinergie di filiera

La lotta al cambiamento climatico e alle disuguaglianze è in cima all’agenda della normativa europea e delle istituzioni internazionali, che indicano una direzione precisa alle aziende e ai cittadini. Strumenti e soluzioni che a essa si richiamano, sostengono e guidano gli sforzi delle imprese verso pratiche sempre più sostenibili. E il retail può essere uno dei protagonisti. Chiamate a ripensare i processi, a sperimentare soluzioni innovative e ad attivare sinergie capaci di ottimizzare la filiera con vantaggi economici e ambientali, le imprese del settore del largo consumo possono ottenere risultati solo condividendo le esperienze e le iniziative di successo. Per farle diventare patrimonio di conoscenza a disposizione di tutti.

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Quali sono i benefit aziendali che attirano più talenti?

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Quali sono i benefit aziendali che attirano più talenti?

Secondo l’ultimo Bollettino predisposto dal Sistema informativo Excelsior Unioncamere, in collaborazione con ANPAL la difficoltà di reperimento del personale è pari al 66% per le figure dirigenziali e del 62% per gli operai specializzati. Sono tante infatti le imprese che si scontrano con le crescenti difficoltà nel reperire figure professionali. E in una situazione come questa le aziende si ‘contendono’ i pochi talenti disponibili, impegnandosi a offrire loro il migliore tra gli ambienti lavorativi. Ma quali sono gli elementi che vengono considerati più importanti dai candidati? 

L’atmosfera di lavoro è più importante della retribuzione

Quali sono i fattori più attrattivi per chi sta cercando un nuovo lavoro, o per chi, pur non avendo avviato una ricerca attiva, è aperto a nuove opportunità professionali? “Non si parla unicamente dello stipendio – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati -. Anzi, esistono fattori che risultano importanti quanto e più della retribuzione, a partire, ad esempio, dall’atmosfera di lavoro, dalla flessibilità complessiva e dalla possibilità di avere un buon equilibrio tra vita lavorativa e vita privata”. E poi ovviamente ci sono i benefit aziendali, ovvero, gli elementi sotto forma di beni o servizi che un’azienda fornisce ai propri dipendenti al di fuori del normale stipendio mensile, e che in quanto tali rientrano nel piano di welfare aziendale.

Un elemento cruciale soprattutto per i Millennials

Per questo motivo, per attirare i talenti, diventa cruciale individuare i benefit aziendali più apprezzati dai lavoratori.
“In linea di massima è possibile affermare che ogni benefit, di qualsiasi natura, deve essere considerato come un elemento positivo in ottica di employer branding e di employee retention, soprattutto quando si parla dei Millennials – puntualizza Carola Adami -. È da questo presupposto che bisogna partire per capire quali sono i benefit che in base al proprio budget e alle esigenze dei propri collaboratori attuali e potenziali, possono risultare più efficaci”.

Formazione, bonus asili nido e spese per il terapeuta

La scelta dei migliori benefit potrebbe quindi essere differente tra aziende di vario tipo o di vario settore, “in quanto ogni settore presenta le sue unicità, così come ogni azienda: il tipo di attività, l’età media dei collaboratori, la posizione geografica sono solamente alcuni fattori da prendere in considerazione – continua Adami -. Nonostante questo, le indagini fatte negli ultimi anni ci mostrano comunque che alcuni benefit aziendali in generale sono più efficaci e apprezzati, come le opportunità di formazione e di sviluppo, l’assistenza all’infanzia, le prestazioni sanitarie. Parliamo quindi, ad esempio, dei giorni di congedo ulteriori per maternità e paternità, dei bonus per asili nido e centri estivi, ma anche delle spese per i terapeuti”.

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Nel 2022 accelera il mercato europeo degli affitti brevi

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Nel 2022 accelera il mercato europeo degli affitti brevi

Nel 2022 il mercato europeo degli affitti brevi ha chiuso l’anno in positivo, registrando un aumento in termini di domanda (+26,4%) e fatturato (+42%) rispetto al 2021. Secondo i dati Airdna il fatturato in Europa ha raggiunto quota 51 miliardi di euro, ma aumentano anche le tariffe medie giornaliere (+16,6% rispetto al 2021), che combinate alla crescita della domanda hanno determinato un aumento complessivo dei ricavi. Sempre nel 2022, in Europa le notti richieste prenotate sono state 355 milioni, +39% rispetto all’anno precedente e +2,9% rispetto al 2019. La media degli annunci disponibili al mese nel 2022 (+11,2%) è arrivata a oltre 2,5 milioni, cifra però rimasta a -7,4% rispetto al 2019.

Ripresa più forte in Ungheria

Ognuno dei primi 20 paesi ha mostrato una crescita della domanda anno su anno. L’Ungheria ha avuto la ripresa più forte, con +62,1% di notti prenotate rispetto all’anno precedente, seguita da Portogallo (+60,2%) e Norvegia (+59,4%). I paesi che hanno invece registrato i minori aumenti della domanda sono stati Paesi Bassi (12,3%), Finlandia (14,1%) e Svizzera (16,5%). Tutti i paesi tranne uno hanno registrato una crescita dell’occupazione rispetto al 2021, il Regno Unito, che ha registrato un calo dell’occupazione dello 0,3% nel 2022. Al contrario, in Portogallo si è registrato l’aumento dell’occupazione più forte (25,2%), seguito da Ungheria (17,0%) e Repubblica Ceca (16,0%).

Unità più piccole guidano la crescita

Una delle tendenze più importanti nel mercato degli affitti a breve termine è la crescita delle camere condivise. Delle tre tipologie di annuncio pubblicate (intera casa/appartamento, stanza privata, stanza condivisa) le camere condivise nel 2022 hanno registrato la maggiore crescita dell’occupazione (+18,4%), seguite dalle stanze private (+15,6%), e dalle intere case/appartamenti (+9,4%). Per quanto riguarda la tipologia degli immobili la crescita maggiore si è registrata nel segmento appartamento/condominio/loft (+12,8%). Ciò può essere dovuto alla comodità e ai servizi offerti da questi tipi di immobili, nonché alla loro maggior concentrazione all’interno delle aree urbane.

Il successo delle fasce di prezzo più basse

Oltre al tipo di annuncio e al tipo di immobile, anche la fascia di prezzo ha svolto un ruolo nel determinare la crescita dell’occupazione. Sebbene l’occupazione sia cresciuta tra tutte le fasce di prezzo, i livelli di crescita più alti si sono registrati nella fascia di prezzo più bassa. Ciò suggerisce che i viaggiatori sono sempre più alla ricerca di opzioni più convenienti nel mercato europeo degli affitti a breve termine. L’aria condizionata e la presenza di una cucina sembrano essere fattori cruciali per gli affittuari, mentre i servizi di lusso, come vasche idromassaggio, piscine, palestre e parcheggi, tipicamente associati ad alloggi dal costo più elevato, non sembrano avere un impatto sostanziale sull’occupazione crescita.

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Osservazione della Terra: un mercato da 200 milioni di euro

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Osservazione della Terra: un mercato da 200 milioni di euro

Secondo i risultati della ricerca dell’Osservatorio Space Economy della School of Management del Politecnico di Milano, in Italia nel 2022 il mercato dei servizi di Osservazione della Terra ha raggiunto il valore di 200 milioni di euro, con 144 imprese del segmento downstream che offrono soluzioni e servizi di Digital Innovation basati su tecnologie e dati satellitari. Ed è proprio il settore dell’Osservazione della Terra il più rappresentato nelle applicazioni Satellite-Based: sono 421, la maggioranza delle 1008 censite a livello mondiale, seguite da applicazioni di navigazione satellitare (384) e di comunicazione satellitare (203).

Sensori ottici e tecnologie Sar

Il 65% del fatturato complessivo del settore Osservazione della Terra è legato a enti pubblici nazionali o sovranazionali, agenzie spaziali ed enti pubblici locali. Il 35% proviene da grandi imprese, Pmi e startup. I principali ambiti di applicazione riguardano svariati settori: agricoltura, energia, servizi di pubblica utilità, finanza, assicurazioni, ambiente, wildlife. Le imprese del segmento downstream (IT provider e System Integrator) sono 144 e hanno un’offerta eterogenea (dati, servizi, tecnologie abilitanti come piattaforme e infrastrutture). Per il 55% i sensori ottici sono la fonte dati principale, mentre il 45% si appoggia prevalentemente su tecnologie Sar (Synthetic Aperture Radar). Il 56% dei dati utilizzati proviene da fonti pubbliche europee, il 14% da fonti pubbliche extraeuropee, il 12% da dati pubblici italiani, e l’11% dati privati di grandi multinazionali.

Investimenti in startup

In termini di filiera, l’upstream (aziende dell’industria spaziale) tende ad attrarre maggiori investimenti per la necessità di progettare e sviluppare nuova infrastruttura, attestandosi al 60% del totale, mentre il downstream si attesta al 40% (circa 3,2 miliardi di euro). Le imprese integrate verticalmente raccolgono 4,5 miliardi di euro di finanziamenti (oltre 50%). L’offerta di servizi a valore aggiunto viene sempre più affiancata dalla progettazione e realizzazione dello stesso satellite. Diverse startup ormai prossime alla fase di scaling stanno adottando la logica di costruire l’infrastruttura internamente. Al fine di superare le difficoltà dovute a grandi investimenti e tempi lunghi, alcune startup hanno iniziato ad articolarsi come piattaforma di Space-as-a-Service. Data l’intensità di capitale, questa configurazione può rappresentare un vero e proprio game-changer per l’intero comparto.

Sistemi miniaturizzati e In-Orbit Services

Dal punto di vista tecnologico due macro-trend stanno rivoluzionando questo mercato. “Il primo è l’avvento di sistemi miniaturizzati combinato alla standardizzazione, che ha permesso l’avvio della produzione in serie di alcuni sistemi spaziale, favorendo la diffusione di nano-satelliti di meno di 10 kg, con una notevole riduzione di tempo e risorse necessarie nonché un risparmio del costo della messa in orbita- commentano Angelo Cavallo e Antonio Ghezzi, rispettivamente Direttore e Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Space Economy -. Il secondo è il frazionamento, che permette di soddisfare le esigenze dei nuovi utenti del settore spaziale ed è fondamentale per l’erogazione di alcuni servizi, come gli In-Orbit Services”.

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Data maturity: se è bassa limita il successo delle aziende

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Data maturity: se è bassa limita il successo delle aziende

La data maturity è la capacità delle organizzazioni di creare valore dai dati, ma se scarseggia ostacola sia le imprese del settore privato sia di quello pubblico nel raggiungimento di obiettivi chiave. 
Ma mentre i governi di tutto il mondo sottolineano l’importanza dei dati come risorsa strategica per guidare il progresso economico e sociale, un sondaggio globale di Hewlett Packard Enterprise condotto da YouGov mostra come il livello medio di data maturity delle organizzazioni sia di 2,6 punti su una scala di 5. Più in particolare, il 14% delle organizzazioni globali si trova a livello di maturità 1 (data anarchy), il 29% a livello 2 (data reporting), il 37% a livello 3 (data insights), il 17% a livello 4 (data centricity) e solo il 3% è a livello 5 (data economy), il livello di maturità più elevato.

In Italia solo il 4% delle organizzazioni è data economy

In Italia, il 13% delle organizzazioni è data anarchy, il 31% data reporting, il 34% data insights, il 17% data centricity e il 4% data economy. La mancanza di capacità di gestione e valorizzazione dei dati, a sua volta, limita la capacità delle organizzazioni di raggiungere obiettivi chiave come l’aumento delle vendite (30%), l’innovazione (28%), il miglioramento della customer experience (24%), il miglioramento della sostenibilità ambientale (21%) e l’aumento dell’efficienza interna (21%).
Per quanto riguarda l’Italia, aumento delle vendite 34%, innovazione 32%, miglioramento della customer experience 23%, miglioramento della sostenibilità ambientale 17%, aumento dell’efficienza interna 20%.

Poco budget allocato, nessun focus strategico

Solo il 13% degli intervistati afferma che la data strategy della propria organizzazione è una parte fondamentale della strategia aziendale, e quasi la metà (48%, Italia 33%) afferma che la propria organizzazione non alloca alcun budget per iniziative relative ai dati, o finanzia solo occasionalmente iniziative relative ai dati tramite il budget IT. Inoltre, solo il 28% (Italia 29%) conferma che la propria organizzazione ha un focus strategico su prodotti o servizi data-driven. E per quasi la metà le proprie organizzazioni non utilizzano metodologie come il machine learning o il deep learning, ma si affidano a fogli di calcolo (29%, Italia 34%) o business intelligence e report preconfezionati (18%, Italia 15%) per l’analisi dei dati.

Servono architetture ibride edge-to-cloud, non viceversa

“A causa della massiccia crescita dei dati all’edge, le organizzazioni hanno bisogno di architetture ibride edge-to-cloud in cui il cloud arriva ai dati, non viceversa”, spiega Claudio Bassoli, Presidente e CEO di Hewlett Packard Enterprise Italia Bassoli.
Una caratteristica legata a un basso livello di data maturity è infatti che non esiste un’architettura globale di dati e analisi: i dati sono isolati in singole applicazioni o posizioni. Questo è il caso del 34% (Italia 39%) degli intervistati. D’altra parte, solo il 19% (Italia 14%) ha implementato un data hub o fabric centrale che fornisce accesso unificato ai dati in tempo reale in tutta l’organizzazione, e un altro 8% (Italia 13%) afferma che questo data hub include anche fonti di dati esterne.