Massimo Miceli


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Blockchain: continua a crescere nonostante il cryptowinter 

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Blockchain: continua a crescere nonostante il cryptowinter 

Nonostante l’anno difficile delle crypto, che ha portato al cosiddetto cryptowinter, nel mondo non rallentano i progetti blockchain da parte di aziende e PA. Nel 2022 ne sono stati identificati 278, +13% rispetto al 2021, e tra il 2016-2022 sono state censite 2.033 iniziative a livello globale. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Blockchain and Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano. In Italia il 2022 ha visto un deciso aumento dei progetti blockchain aziendali, con investimenti per 42 milioni di euro (+50% sul 2021). Nel 33% dei casi sono legati al settore finanziario/assicurativo, nel 23% alla moda, principale novità del 2022, e al retail, oltre a settore automobilistico (10%) e PA (7%). Aumenta poi l’interesse degli italiani per cryptovalute e token. Più di 7 milioni li hanno già acquistati e altrettanti sono interessati a farlo in futuro.

Calano i progetti Blockchain for business

In generale, se i progetti Blockchain for business sono in calo (67 iniziative nel 2022, -43% rispetto al 2021), rimangono però la maggioranza del totale dei casi censiti in 7 anni (568, 54% del totale). Aumentano, invece, nonostante le difficoltà delle crypto, le applicazioni Internet of Value (IoV) su criptovalute, stablecoin e CBDC per lo scambio di valore (100 iniziative nel 2022), che rappresentano il 28% del totale. Sono in forte crescita poi i progetti Decentralizedweb che più si avvicinano al paradigma Web3 (111 casi nel 2022, +98%), con applicazioni decentralizzate (DApp) e molte iniziative legate agli NFT.

Internet of Value e Blockchain for business

Le applicazioni IoV riguardano l’utilizzo di criptovalute, stablecoin e CBDC per lo scambio di valore, soluzioni sono in fase di maturazione e in cerca di legittimazione. Il collasso dell’ecosistema Terra-Luna e il fallimento dell’exchange FTX, avvenuti nel 2022, hanno messo a dura prova la fiducia di aziende e consumatori, contribuendo al crollo del mercato crypto e a un impatto negativo sulle aziende del settore. Un secondo ambito di applicazione IoV è quello dei progetti in cui i processi di business tradizionali vengono replicati utilizzando tecnologie blockchain. Il momento di difficoltà di tali progetti non è sintomo del fallimento di una tecnologia, ma della complessità di progetti di ecosistema ampi.

Decentralized web

I progetti di Decentralized web sono cresciuti molto nel 2022, anche grazie al forte hype sviluppato nel 2021 sugli NFT, soprattutto con la creazione di digital collegabile. Sempre più spesso le aziende provano a costruire strategie di business intorno agli NFT che includano anche l’accesso a servizi esclusivi o esperienze nel Metaverso. In particolare, nel business della moda e del lusso.
Anche le applicazioni decentralizzate hanno proseguito la loro evoluzione. Le DAO e i sistemi di governance distribuita su blockchain, in particolare, hanno attirato l’attenzione di aziende tradizionali. Anche se questi modelli decisionali partecipativi e decentralizzati sono utilizzati quasi esclusivamente dalle DApp più mature, come quelle del mondo DeFi.

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Gli italiani e la dichiarazione dei redditi  

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Gli italiani e la dichiarazione dei redditi  

Taxfix, l’app che rende più agevole la dichiarazione dei redditi online, ha analizzato i dati raccolti per scopire quali sono le caratteristiche degli italiani che quest’anno hanno presentato la dichiarazione dei redditi, quali le spese più comunemente dedotte e detratte, e quali invece le più curiose. E secondo Taxfix, la maggioranza degli utenti che hanno usufruito dell’app sono uomini (63,5%) rispetto al 36,5% delle utenti donne. Emerge poi una predominanza di Millennial, ovvero nella fascia di età compresa tra 26-35 anni. La maggior parte degli italiani ha presentato la dichiarazione dei redditi già nei mesi di aprile, maggio e giugno (60%), mentre il 14% ha utilizzato la piattaforma a settembre, ultimo mese utile. La maggior parte di chi ha aspettato a settembre (73%) ha presentato la dichiarazione negli ultimi 15 giorni del mese.

Con l’aumentare del reddito aumenta il gender pay gap

Le fasce di reddito più elevate sono rappresentate principalmente dagli uomini. In particolare, con l’aumentare del reddito, aumenta la disparità, partendo dal 71% di uomini contro il 29% delle donne nella fascia dai 20mila ai 30mila euro fino ad arrivare all’86% di uomini rispetto al 14% di donne nella fascia tra i 60mila e i 70mila euro. La maggior parte dei dichiaranti poi (69%) è andata a credito. Per quanto riguarda invece la distribuzione geografica degli utenti, tra le regioni più aperte a utilizzare le nuove tecnologie, anche in ambito fiscale, svettano Lombardia (29%), Emilia Romagna (12%) e Veneto (13%). Fanalini di coda, Valle D’Aosta, Molise e Basilicata.

Le spese più detratte

Dai dati elaborati da Taxfix emergono aspetti curiosi relativi alle spese dichiarate. Da quelle più note, che risultano essere le più detratte, come le spese mediche, posizionate al primo posto (60%), quelle per l’affitto (32%) e quelle relative alla detrazione degli interessi del mutuo (14%), ad altre più sorprendenti.
La top 5 delle spese meno note, riporta Askanews, si apre infatti con le spese funebri: è infatti possibile portare in detrazione le spese sostenute per un funerale e la sepoltura di qualcuno, richiedendo una riduzione dell’Irpef pari al 19% della somma pagata, nel limite di 1.550 euro per ciascun decesso.

Dal Bonus Musica alle donazioni

Al secondo e terzo posto si collocano rispettivamente le spese musicali e quelle sportive. Per quanto riguarda le prime si tratta di una detrazione pari al 19% delle spese sostenute per l’iscrizione di bambini e ragazzi tra 5-18 anni a scuole di musica o conservatori. Anche per le spese sportive la detrazione è pari al 19%, e riguarda le spese sostenute per le attività sportive praticate da ragazzi e ragazze tra 5-18 anni presso associazioni sportive e impianti sportivi. Al quarto posto si posizionano le donazioni nei confronti di Onlus, università e scuole, ricerca, sport o chiese, e al quinto il bonus vacanze. Un beneficio che spettava all’80% in forma di sconto sull’importo dovuto al fornitore, e per il restante 20% sotto forma di detrazione d’imposta.

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Capodanno a tavola: i consigli degli esperti per non avere sensi di colpa

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<strong>Capodanno a tavola: i consigli degli esperti per non avere sensi di colpa</strong>

Italiani buone forchette, si sente spesso dire. Ed è vero, come è vero che noi amiamo festeggiare ogni occasione con amici e parenti e soprattutto con l’immancabile tavolata. Tra Natale e Capodanno, è tutto un susseguirsi di pranzi e cene, con lo sfoggio delle bontà della nostra tradizione gastronomica. Quest’anno poi, in cui non ci sono più limitazioni come nelle festività passate causa pandemia, si cucina come se non ci fosse un domani. Più commensali, quindi, e più portate.

Le indicazioni dei medici per non litigare con la bilancia

Per festeggiare come si deve, ma senza però attentare alla linea e alla salute, ci sono i consigli di di AIGO – Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti Digestivi Ospedalieri, che indicano come concedersi le gioie delle convivalità senza doverle pagare sulla bilancia. Focus innanzitutto sull’alcol, ricco di zuccheri. Nessuno vieta il tradizionale brindisi, però bisogna ricordare che negli uomini la dose massima giornaliera è di 1-2 bicchieri di vino, mentre nelle donne di 1 bicchiere. Anche nei soggetti sani l’alcol può causare pure in dosi moderate sintomi da reflusso o bruciore, in presenza di patologia serve particolare prudenza. Il paziente con malattia di fegato non dovrebbe assumere bevande alcoliche, mentre il paziente con disturbi funzionali, come intestino irritabile, può concedersi un brindisi. La cosa più importante che spesso manca nelle tavole delle feste è l’acqua. Quindi, sì a un brindisi, ma uno solo!

Attenti a…

I piatti tipici delle feste sono meravigliosi, ma sovente sono ricchi di grassi animali e zuccheri, elementi che possono favorire disturbi come cattiva digestione, gonfiore addominale, reflusso gastroesofageo, poichè difficilmente digeribili. Fermo restando che nessun piatto è “sbagliato” in assoluto, il problema può essere rappresentato dall’eccesso. Non solo: alcuni cibi possono provocare problemi alle persone con difficoltà nell’assorbimento del lattosio. La regola generale, quindi, è lasciare ampio spazio sulla tavola anche a verdure fresche, che comunque attenuano il senso di fame. Occhio anche alle cattive abitudini, come ad esempio mangiare troppo velocemente, fumare tra una portata e l’altra o sdraiarsi sul divano subito dopo il pasto. No anche allo stress, da lasciare rigorosamente fuori dalla porta nei giorni di festa. Per sentirsi subito più leggeri, infine, niente di meglio di una passeggiata post pranzo: fa bene alla linea, sicuramente, ma anche all’umore.

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Gli italiani e la forma fisica: 7 su 10 praticano attività agonistica o amatoriale

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Gli italiani e la forma fisica: 7 su 10 praticano attività agonistica o amatoriale

Nel 2021 il 66,2% degli italiani, quasi 7 su 10, ha praticato regolarmente attività fisica, a livello agonistico o amatoriale. Lo rivela una ricerca dell’Istat su Sport, attività fisica e sedentarietà. Torna quindi a essere attuale anche l’importanza dell’alimentazione per chi pratica sport. Anche per sfatare falsi miti, come ad esempio quello di abolire dalla dieta i dolci e i grassi, oppure l’erronea convinzione che i carboidrati ingrassino. In ogni caso, nella top 5 degli alimenti più amati da chi pratica sport, e da chi vuole tenersi in forma, c’è la Bresaola della Valtellina IGP, un alimento ricco di proteine, vitamine e sali minerali. Un salume della tradizione che può essere un valido alleato anche per chi svolge un’attività sportiva a livello amatoriale, occasionalmente o con una certa regolarità.

Nel 2021 gli sportivi sono 38 milioni e 653mila

Negli ultimi 20 anni, in Italia, sempre più persone hanno praticato attività sportiva nel tempo libero, e nel 2021 sono 38 milioni e 653mila, contro i 34 milioni del 2000. Allo stesso tempo, si è ridotto il numero di persone che non pratica alcuna attività, passato dal 37,5% del 2000 al 33,7% del 2021.
Si tratta di dati che confermano le evidenze emerse dall’ultimo rapporto Coop, secondo il quale per gli italiani la salute rimarrà una priorità anche per il 2023. Ma se il 36% pone salute e benessere individuale al primo posto nella scala di importanza personale, e il 39% intende curare l’aspetto esteriore, un italiano su 2, il 47%, si propone di mangiare meglio. Soprattutto a fronte di una maggiore sedentarietà dovuta agli effetti della pandemia. Gli italiani sedentari sono passati da una quota del 22,3% nel 2000 al 27,2% nel 2021.

L’alimentazione influisce sulle performance

L’alimentazione, soprattutto per chi pratica sport, è il primo passo per una resa al top, e per una buona condizione generale di forma fisica, perché una corretta alimentazione può influire sulla performance sportiva e sull’obiettivo che ogni singolo appassionato intende raggiungere. Negli ultimi tempi, considerati anche i fatti di cronaca, si sta assistendo a un notevole aumento dell’interesse per lo studio della dieta applicata allo sport, sia per calciatori e ginnaste, sia per chi fa yoga o fitness, a livello agonistico oppure amatoriale. 

La dieta cambia in base a frequenza, durata e intensità dell’allenamento

“L’alimentazione di chi pratica sport cambia in base al tipo di disciplina praticata e in base a frequenza, durata e intensità dell’allenamento – spiega la dietologa nutrizionista e coach sportiva Valeria Galfano -. Il calcio, ad esempio, è uno sport a ritmo intermittente in cui i giocatori si fermano e ripartono in continuazione, con un ciclo fatto di corsa, sprint e posizionamento. A causa di queste particolari caratteristiche, il fabbisogno calorico dei calciatori risulta particolarmente elevato, prevedendo, anche nei giorni di riposo, un aumentato apporto sia di carboidrati, che forniscono energia immediatamente utilizzabile, sia di proteine, necessarie per il maggior turnover cellulare innescato dall’attività fisica. Grazie alla ricchezza di proteine, vitamine e sali minerali, la Bresaola della Valtellina IGP è un ingrediente sempre presente nel menu degli sportivi, insieme a frutta, verdura, cereali integrali e carni magre”.

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Digitale: nel 2023 investimenti a +2,1% 

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Digitale: nel 2023 investimenti a +2,1% 

Dopo l’aumento del 2022 (+4%), per il 2023 si stima un rialzo del 2,1% dei budget ICT delle imprese italiane, comprese le Pmi (+2,4%). Per le grandi imprese gli investimenti si concentreranno su Sistemi di Information Security (50%), Business Intelligence, Big Data e Analytics (46%) e Cloud (30%), Software di profilazione e gestione dei contatti (CRM) e Software Gestionali (ERP). Ma il digitale è anche lo strumento per supportare i processi di transizione sostenibile. Il 65% delle grandi imprese investe nel digitale per raggiungere obiettivi in questo ambito (29% Pmi), in particolare con sistemi di Big Data e Analytics, soluzioni di Industria 4.0 e tecnologie per lo Smart Working. Sono i risultati della ricerca degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano.

I budget ICT

Nel 2023 il 43% delle grandi o grandissime imprese e il 43% delle Pmi aumenteranno i budget per le tecnologie digitali, un incremento trainato dalle imprese di taglia media. Si conferma la propensione a dedicare budget per l’innovazione digitale anche in altre funzioni esterne alla Direzione ICT, come fa già il 61% delle grandi imprese.
Il 41% delle imprese ha già definito una Direzione Innovazione o un singolo ruolo dedicato alla gestione dell’innovazione, sempre più spesso posizionata in stretto rapporto con il vertice aziendale. Ma è centrale anche integrare gli spunti di innovazione con i bisogni delle aree di business: più del 50% delle grandi imprese ha già definito ruoli di Innovation Champion. Nelle Pmi sono ancora rari ruoli dedicati all’Innovazione Digitale (8%), prediligendo una gestione occasionale (60%), o il ricorso a consulenti esterni (13%).

Misurare l’innovazione

Le grandi imprese identificano tra le principali sfide future la necessità di comprendere come misurare in modo efficace gli impatti portati dall’innovazione in azienda. Solo l’8% ha però già definito modelli strutturati di misurazione. Tra le dimensioni misurate spiccano i risultati di business e il consumo di risorse impiegate nei processi di innovazione, elementi di più facile e immediata quantificazione.
Grandi imprese e Pmi si dedicano poi in maniera sempre più diffusa all’adozione di meccanismi per stimolare l’ecosistema esterno di innovazione, e oggi l’83% delle grandi imprese adotta pratiche di Open Innovation. 

L’Open Innovation

A riprova di questa diffusione, il 45% delle grandi imprese già possiede un budget dedicato all’Open Innovation. Tra le azioni inbound più adottate, le collaborazioni con Università e Centri di Ricerca (67%), attività di scouting e intelligence di start up (52%), Partner scouting su imprese consolidate (46%), Call4ideas o Call4startup (37%) e Hackathon (36%).
Poco diffusi, seppur in crescita, i fondi di Corporate Venture Capital per investire nell’equity di startup (8%). Anche tra le Pmi l’adozione di Open Innovation è in crescita costante, seppur interessi ancora solo il 44% di esse. Il 52% delle grandi imprese collabora già attivamente con startup, mentre il 24% ha in programma di farlo in futuro. Tra le Pmi l’11% già collabora e 24% ha in programma di farlo.

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Outsourcing: 30.000 imprese e un fatturato da 19 miliardi di euro

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Outsourcing: 30.000 imprese e un fatturato da 19 miliardi di euro

A quanto emerge dal rapporto dal titolo La seconda transizione dell’outsourcing, realizzato dal Censis in collaborazione con il Gruppo De Pasquale, oggi in Italia le imprese che gestiscono processi di outsourcing sono circa 30.000, contano 200.000 occupati, e hanno realizzato un fatturato che si attesta sui 19 miliardi di euro, per un valore aggiunto di 9,4 miliardi. Il report identifica le leve che possono portare l’esternalizzazione dei processi ad assumere anche il ruolo di motore della crescita e dell’innovazione nelle imprese, ed evidenzia le traiettorie che si stanno consolidando.

In Italia la crescita interessa l’intero Business process outsourcing

Il Censis ha elaborato una stima del valore del settore dell’outsourcing, inteso come l’insieme di attività e processi che le aziende o gli enti affidano a terze parti in base alle diverse strategie perseguite. Il report conferma il percorso di crescita che in Italia sta interessando l’intero Business process outsourcing (Bpo). Nel confronto con i dati al 2016, già nel 2019 si registrava un aumento del 15,8% nel numero di imprese che gestiscono processi di outsourcing, una crescita dell’occupazione del 13,3% e un incremento del fatturato pari al 15,5%.

Si prospetta un cambiamento di paradigma

Si prospetta però un cambiamento di paradigma: le aziende che esternalizzano processi e servizi hanno maturato una maggiore consapevolezza in merito ai vantaggi che derivano dai meccanismi di integrazione, scambio, collaborazione, sia in un’ottica di espansione (outward looking) sia secondo una logica di ottimizzazione (inward looking).  La ricerca di nuovi mercati e nuovi clienti spinge la collaborazione tra le imprese. Questo, in particolare per il 38,7% delle imprese, cui fa seguito la necessità di contenere i costi (36,1%) e di sviluppare l’innovazione di processo o di prodotto (22,9%). Il 20% delle aziende poi si concentra sulle partnership per acquisire nuove competenze e tecnologie, accrescere la flessibilità organizzativa e implementare strategie di internazionalizzazione.

Un sistema produttivo estremamente frammentato

Le relazioni fra le imprese, facilitate dalla digitalizzazione e da una competizione che si sposta dal livello di singola impresa e di singolo territorio al livello di ecosistema, riducono i condizionamenti della piccola dimensione d’impresa, e favoriscono la creazione di valore aggiunto su una scala più ampia. Questo elemento assume un’importanza decisiva a maggior ragione in Italia, vista la persistenza di modelli imprenditoriali a scala ridotta e la difficoltà di innalzare la dimensione media delle aziende. Fattori che rendono il sistema produttivo di beni e servizi estremamente frammentato, con oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti, e poco più di 4.000 che superano la soglia dei 250 addetti.

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Crisi energetica e inflazione spingono verso la finanza sostenibile

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Crisi energetica e inflazione spingono verso la finanza sostenibile

Finanza sostenibile, e più in generale tutto ciò che può “sostenere” la transizione energetica, stanno diventando temi all’ordine del giorno per gli italiani. Tanto che proprio la finanza sostenibile riscuote sempre più interesse: il 79% dei risparmiatori conosce gli investimenti sostenibili e il 22% (contro il 18% del 2021) ha già sottoscritto prodotti SRI. I numeri sono emersi durante l’undicesima edizione delle Settimane SRI, la principale rassegna in Italia sulla finanza sostenibile, si è aperta con un approfondimento sugli orientamenti degli investitori retail rispetto a un tema attuale e di grande rilievo internazionale: la transizione energetica. Nel corso del convegno sono stati presentati i risultati della ricerca “Risparmiatori italiani e transizione energetica”, realizzata dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con BVA Doxa. Lo studio, condotto tra maggio e settembre 2022, ha coinvolto 1.400 risparmiatori che hanno investito nell’ultimo anno almeno €1.000, di cui 510 con almeno €20.000 investiti.

Le principali preoccupazioni degli italiani

Gli eventi dell’ultimo anno (l’aumento dei prezzi dell’energia, lo scoppio della guerra in Ucraina e la caduta del governo) hanno aperto una nuova fase di incertezza. Oltre l’80% dei rispondenti si dichiara molto o abbastanza preoccupato per l’aumento dei costi dell’energia e per l’inflazione. Tra le principali sfide da affrontare viene indicata la crisi energetica (62%), seguita dal carovita (48%) e dal cambiamento climatico (33%). Questa situazione ha fatto sì che il tema della transizione energetica sia stato spesso presente nei media, ma solo 2 risparmiatori su 10 dichiarano di conoscerlo bene, mentre il 55% degli intervistati afferma di avere una conoscenza superficiale in merito e il 22% ne ha solo sentito parlare. Tuttavia, la transizione energetica viene vista da oltre la metà dei rispondenti (51%) come una trasformazione necessaria, i cui vantaggi e opportunità nel medio-lungo termine supereranno di gran lunga i costi nel breve termine. Il 35% dei risparmiatori associa poi al processo di transizione la possibilità di raggiungere l’autosufficienza energetica e un risparmio sulle bollette. Inoltre, circa l’80% del campione concorda sul fatto che la transizione energetica potrà offrire opportunità di investimento e di lavoro, con la creazione di nuove competenze, anche se il 70% è convinto che gli effetti positivi della transizione energetica si vedranno solo in futuro.

Cautela e prudenza

Tra gli ambiti di intervento prioritari per la transizione energetica i risparmiatori citano soprattutto l’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili (fondamentale per il 55% dei rispondenti) e lo sviluppo delle tecnologie collegate sia a queste ultime sia all’efficientamento energetico (rilevanti per 4 rispondenti su 10). Ci sono però delle incertezze per quanto riguarda gli investimenti: rispetto all’anno precedente, il 2022 è caratterizzato da un maggior disorientamento e da un aumento della sfiducia verso le istituzioni nazionali e internazionali. Nella crescente incertezza dell’ultimo anno, cautela e prudenza sono le parole chiave che continuano a indirizzare le scelte finanziarie. La maggior parte dei risparmiatori predilige investimenti a basso rischio o a rischio moderato, con un orizzonte temporale tendenzialmente più lungo rispetto al 2021. Solo il 4% dei rispondenti si orienta su investimenti a rischio elevato. Percentuale che sale al 9% per chi ha almeno €20.000 investiti.

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Per gli italiani lo shopping natalizio inizia in anticipo 

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Per gli italiani lo shopping natalizio inizia in anticipo 

Se per qualcuno lo shopping dei regali natalizi rappresenta un’attività molto piacevole, in cui si sceglie un regalo per amici e familiari, per altri coincide con un periodo di corse all’ultimo minuto. Ma per tutti è senza dubbio uno dei momenti in cui viene effettuato il maggior numero di acquisti.
Nonostante la corsa ai regali last minute per molti italiani rimanga un ‘classico’ dei giorni che precedono il Natale, il 52,3% vorrebbe ricevere proposte dalle aziende già tra fine ottobre e fine novembre, e il 46,2% inizia già a comprare le prime strenne nel medesimo periodo. È quanto emerge da un sondaggio svolto da Esendex per comprendere le abitudini di acquisto degli italiani nelle settimane precedenti le feste.

Il 29,5% degli italiani anticipa gli acquisti entro la metà di ottobre

Dalla ricerca emerge, inoltre, che il 29,5% degli italiani anticipa gli acquisti dei regali natalizi entro la metà di ottobre, mentre il restante 24,3% preferisce aspettare l’inizio di dicembre prima di iniziare lo shopping. Agli intervistati è poi stato chiesto quando vorrebbero ricevere offerte e proposte di strenne natalizie, e più della metà (52,3%) ha risposto tra fine ottobre e fine novembre, il 37,3% entro metà ottobre, e il 9% dai primi di dicembre in avanti. Solo l’1,4% non è interessato a fare acquisti o non festeggia il Natale.

Viva le promozioni via SMS

Considerando che un buon numero di persone desidera ricevere offerte e proposte molto prima delle festività, è stato poi domandato se considererebbero la possibilità di acquistare un regalo natalizio a seguito di una promozione ricevuta via SMS o Whatsapp. E a questa domanda l’83,8% degli intervistati ha risposto che lo farebbe sicuramente, o molto probabilmente.

“Le aziende non possono permettersi di arrivare in ritardo con la promozione”

“La nostra indagine ha confermato che le persone iniziano a pensare allo shopping natalizio con ampio anticipo e sono molto ricettive a suggerimenti e offerte già nei due mesi precedenti alle festività – ha commentato Carmine Scandale, Head of Sales di Esendex Italia -. Le aziende non possono quindi permettersi di arrivare in ritardo con la promozione delle proprie proposte. Le nostre soluzioni di mobile messaging rappresentano un’eccellente modalità per effettuare, anche in vista del Natale, campagne marketing mirate ed efficaci, consentendo di raggiungere le persone direttamente sul proprio smartphone, il touch-point di eccellenza per clienti e potenziali clienti”.

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Come sono gli italiani visti dagli italiani? Conviviali e ironici

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Come sono gli italiani visti dagli italiani? Conviviali e ironici

A tratteggiare il ritratto degli italiani ‘visti’ dagli italiani è uno studio condotto su quattro generazioni da Astraricerche per Birra Moretti, brand del gruppo Heineken con una storia di oltre 160 anni sulle spalle. Secondo lo studio, dalla GenZ ai Baby Boomers quattro connazionali su dieci si auto percepiscono conviviali. Al secondo posto dopo la convivialità gli italiani indicano la ‘leggerezza’ legata alla buona compagnia (35%), soprattutto gli under 25. Insomma, se proprio dobbiamo dare una etichetta al nostro essere italiani è la convivialità. E se poi la convivialità è a tavola, allora siamo tutti d’accordo.

GenZ, Millennials, Generazione X e Boomers a confronto

Ma la percezione dell’italianità non è univoca tra le generazioni. Ad esempio, la GenZ, rispetto alle altre generazioni, riconosce negli italiani l’ironia (32%), ma anche l’altruismo (27%), e al terzo gradino del podio, l’autenticità (24%). I Millennials, invece, più delle altre generazioni individuano nella ricerca del benessere e della felicità fisica e mentale una delle caratteristiche di noi italiani (35%), mentre la Generazione X individua l’essere italiani soprattutto nella creatività (33%). E per i Baby Boomers è l’impegno per la sostenibilità a contraddistinguere la nostra natura di italiani.

Le etichette più detestate: indisciplinati, mammoni, individualisti

Non ci piacciono invece le etichette a cui gli stranieri ci hanno abituati: per quasi un italiano su due (45%), lo stereotipo più detestato è quello di essere considerati un popolo di indisciplinati, un giudizio osteggiato in particolare dalla GenZ. A seguire, gli italiani indicano tra le etichette più odiose l’essere considerati ‘mammoni’ (34%) e troppo gesticolanti e chiassosi (30%). Giudizi diffusi, ma reputati più accettabili dai nostri connazionali, sono l’individualismo e la troppa sicurezza di sé (20%), insieme all’essere considerati troppo modaioli (17%).

Viva i pranzi a casa e i Mondiali guardati con gli amici

Su una cosa però gli italiani sono d’accordo. La convivialità a tavola è uno dei momenti che meglio rappresenta il nostro stile di vita. Al primo posto uno su due indica i pranzi, gli aperitivi e le cene a casa con gli amici (48%), seguiti dalla visione condivisa di grandi eventi sportivi come i mondiali di calcio (38%) o semplicemente, mangiare fuori casa in compagnia di chi ci fa stare bene (38%). Più staccate, riporta Askanews, la partecipazione a iniziative che riguardano il benessere della comunità nella quale si vive (20%) o a eventi culturali (16%).
In particolare, tra i momenti conviviali tipicamente italiani i nostri connazionali apprezzano molto il tradizionale pranzo della domenica (42%), molto più amato da Baby Boomers, meno dalla GenZ, ma anche le serate in pizzeria con gli amici (25%). Mentre tra gli under 25 riscuote consensi anche lo street food.

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Spreco alimentare e impatto sul consumo energetico

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Spreco alimentare e impatto sul consumo energetico

Serve un’enorme quantità di energia per produrre, distribuire e cuocere alimenti, che nonostante siano ancora commestibili, diventano fin dall’origine un surplus inutilizzato. Lo spreco alimentare è di conseguenza anche spreco energetico. Secondo lo Studio effettuato dall’Università di Bologna, in collaborazione con ENEA, il 3% del consumo energetico dipende dallo spreco alimentare. La quantità enorme di produzione agricola e alimentare che marcisce in campo o in discarica, dopo essere stata lavorata non è quindi solo un problema etico e sociale, ma anche energetico. Per quanto riguarda l’Italia, ogni cittadino getta in media 30,3 grammi di frutta alla settimana, 26,4 grammi di insalata e 22,8 grammi di pane fresco.

Due “sprechi” che vanno di pari passo

Lo spreco di energia derivante dal cibo sprecato in Italia vale 4,02 miliardi euro. Un costo che porta a circa 11 miliardi euro complessivi il valore dello spreco alimentare domestico, sulla base di un costo dell’energia elettrica di 0,4151 euro/kWh. Il 3,2% della produzione agricola totale rimane a marcire sul campo: 1,5 milioni di tonnellate di alimenti che per arrivare a maturazione hanno consumato la stessa quantità di energia che potrebbe riscaldare 400mila appartamenti ad alta efficienza. Questi rifiuti alimentari finiscono poi nelle discariche a marcire, rilasciando gas serra (GHG). E se a questo si combina la quantità di energia necessaria per raccogliere, produrre, trasportare e conservare questo cibo, si arriva a 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. 

Un rimedio arriva dalle nuove tecnologie per l’agricoltura

Se lo spreco di cibo fosse un paese sarebbe il terzo più grande emettitore di gas serra nel mondo, dopo Stati Uniti e Cina. Uno dei rimedi è dato dalle nuove tecnologie per il settore dell’agricoltura (agricoltura di precisione, biologica, produzione locale), ma anche dalla valorizzazione degli scarti agricoli e alimentari per il recupero energetico (energia da biomasse). L’It, in particolare, può contribuire alla razionalizzazione delle produzioni agricole e alimentari, soprattutto quando si tratta di rendere più efficienti i processi di produzione e trasformazione, e assecondare la variabilità della domanda grazie alla raccolta e all’elaborazione in tempo reale delle informazioni.

Biometano: una fonte di energia rinnovabile 100% Made in Italy

Il biometano deriva dal trattamento del biogas prodotto dai residui dei raccolti agricoli, dalla fermentazione di letame, scarti alimentari, erba e foglie.
Si tratta di una vera e propria fonte di energie rinnovabili, che sfrutta la degradazione di materiali che se lasciati nell’ambiente o nei campi libererebbero gas serra nell’atmosfera. È un tema centrale dell’economia circolare, poiché riveste un ruolo chiave anche nella soluzione del problema relativo allo smaltimento dei rifiuti. Recentemente, la Commissione europea ha approvato 4,5 miliardi di finanziamenti all’Italia per sostenere la produzione di biometano. La misura rientra nella strategia per ridurre la dipendenza dal gas russo e aumentare la quota di energia rinnovabile nel mix energetico.
Il biometano rappresenta infatti l’unico biocarburante 100% Made in Italy, e potrebbe essere determinante soprattutto per il settore dei trasporti.