Massimo Miceli


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Settembre, le aziende cercano 531.000 lavoratori: ma la metà non si trova

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Settembre, le aziende cercano 531.000 lavoratori: ma la metà non si trova

Nel mese di settembre, le imprese italiane sono alla ricerca di 531.000 lavoratori, che verranno assunti con contratti a tempo determinato superiori a un mese o a tempo indeterminato. Questo numero rappresenta un aumento di 7.000 unità (+1,3%) rispetto a quanto previsto un anno fa. Per l’intero trimestre che va da settembre a novembre 2023, le assunzioni programmate superano di poco 1,4 milioni, registrando un aumento dell’1,9% rispetto allo stesso periodo del 2022.

Il 48% delle assunzioni programmate è “difficile”

Le imprese stanno affrontando crescenti difficoltà nel trovare candidati adatti per queste posizioni, con il 48% delle assunzioni programmate che riscontrano problemi di reperimento. Questo dato è aumentato di 5 punti percentuali rispetto a dodici mesi fa, con percentuali ancora più elevate (tra il 60% e il 70%) per molte figure professionali, in particolare quelle tecniche e ingegneristiche, così come per gli operai specializzati. I dati emergono dal Bollettino del Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con Anpal.

Aumentano gli ingressi nelle imprese

Le grandi imprese (con oltre 250 dipendenti) e le piccole imprese (con 10-49 dipendenti) coprono completamente l’aumento complessivo delle assunzioni rispetto al 2022, rispettivamente con un aumento di +4,4 mila e +4,3 mila assunzioni nel mese e +11 mila e +12 mila nel trimestre. D’altra parte, le imprese di dimensioni più piccole (1-9 dipendenti) prevedono una diminuzione delle assunzioni a settembre (-3 mila).

Le ricerche nei vari settori merceologici

Nel settore manifatturiero, sono previste 99.000 assunzioni a settembre 2023, un dato simile all’anno precedente, e 275.000 assunzioni nel trimestre (-0,2%). In particolare, la meccatronica e la metallurgia hanno previsto rispettivamente 25.000 e 20.000 contratti a settembre e 69.500 e 55.000 nel trimestre. Le industrie alimentari e del settore moda seguono con previsioni di rispettivamente 13.000 e quasi 40.000 assunzioni.
Nel settore delle costruzioni, sono programmate 60.500 assunzioni a settembre 2023 e 196.000 nel periodo settembre-novembre, con un aumento di 3.500 nel mese e 15.000 nel trimestre. Per le imprese dei servizi, sono previsti 371.000 contratti di lavoro a settembre (+1,0% rispetto all’anno precedente) e quasi 989.000 nel trimestre (+1,3% rispetto allo stesso periodo del 2022). Le previsioni sono particolarmente positive per i servizi alle persone e il settore dei trasporti e della logistica. Tuttavia, le imprese commerciali e quelle del turismo hanno previsto meno assunzioni rispetto all’anno precedente.

I contratti a tempo determinato sono oltre il 50% 

I contratti a tempo determinato rappresentano la forma contrattuale più comune, con 284.000 unità, pari al 53,4% del totale. Seguono i contratti a tempo indeterminato, i contratti di somministrazione, gli altri contratti non alle dipendenze, i contratti di apprendistato, gli altri contratti alle dipendenze e i contratti di collaborazione.
Le imprese segnalano difficoltà di reperimento per oltre 252.000 assunzioni a settembre (il 48% del totale), con la mancanza di candidati come causa principale (31,7%), seguita dalla preparazione inadeguata (12%). Le figure professionali con il mismatch più elevato includono operai specializzati, conduttori di impianti fissi e mobili, e professioni tecniche.

Cresce la quota di manodopera straniera 

L’uso della manodopera straniera è in aumento, passando da 95.000 ingressi dell’anno precedente (18,2% del totale delle assunzioni) a 108.000 ingressi attuali (20,4% del totale delle assunzioni), con un aumento di 13.000 contratti (+13,6%). I settori che fanno maggiormente affidamento sulla manodopera straniera includono i servizi operativi di supporto, il trasporto, la logistica, le industrie metallurgiche, i servizi di alloggio, ristorazione e turismo, e le industrie alimentari.
A livello territoriale, le imprese delle regioni del Nord Est segnalano le maggiori difficoltà di reperimento, con il 53,4% delle assunzioni che risultano difficili da trovare, superando notevolmente le regioni del Sud e delle Isole (43,5%) e del Centro (45,9%). 

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Per i musei pubblici il futuro è 4.0

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Per i musei pubblici il futuro è 4.0

L’intero sistema dei musei pubblici italiani nel 2019 ha generato 242,4 milioni di euro di ricavi da ingressi. Un dato in crescita del 10,8% dal 2012, ma che equivale alla somma dei ricavi di appena 5 dei musei e monumenti più visitati d’Europa: Louvre, Tour Eiffel e Musee d’Orsay in Francia, Prado e Museo Reina Sofia in Spagna. Se i musei pubblici introducessero strumenti e logiche 4.0, digitalizzando l’esperienza di visita, ottimizzando le tariffe e ampliando l’offerta di servizi disponibili, i ricavi aumenterebbero fra il 44% e il 66%. È quanto emerge dallo studio Musei pubblici, un patrimonio strategico per il sistema Italia, condotto da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Aditus.

Un volano per lo sviluppo del Paese

Il settore museale può essere un volano per lo sviluppo del Paese. L’effetto moltiplicatore economico e occupazionale consentirebbe infatti di attivare 237 euro distribuiti in tutti i settori economici per ogni 100 euro investiti nelle attività museali e culturali, e 1,5 occupati esterni al comparto per ogni posto di lavoro creato al suo interno. Per rafforzare la competitività dei musei pubblici, e sostenerne lo sviluppo, serve ridare centralità al visitatore e investire nell’ampliamento dell’offerta dei servizi museali e culturali, integrando prodotti aggiuntivi e il canale digitale nell’esperienza di visita del museo. Anche introducendo nuove logiche di gestione e metodi di comunicazione e marketing digitali.

Performance di attrazione differenziate sul territorio

Nonostante i ricavi dei musei statali siano cresciuti, il 37% degli enti statali e il 45% di quelli pubblici non statali sono a ingresso completamente gratuito. Anche il 51% dei visitatori negli enti statali e pubblici non statali è a titolo gratuito, con valori particolarmente elevati negli enti statali (58%). Inoltre, se il patrimonio museale in Italia è distribuito sul territorio le performance di attrazione sono molto differenziate. Otto regioni su venti hanno ridotto numero di enti culturali. Il Lazio, con il 7% del patrimonio nazionale, attrae un quarto dei visitatori annuali totali in Italia e la grande maggioranza dei ricavi si concentra in sole tre regioni: Lazio, Campania, Toscana. 

Digitale: un’opportunità ancora da cogliere

I musei italiani appaiono ancora indietro nell’adozione di strumenti digitali. In particolare, meno di un terzo (31,2%) offre ai visitatori video e/o touch screen per la descrizione e l’approfondimento delle opere, solo il 27,5% è dotato di QR Code e/o di Wi-Fi nelle strutture, meno di uno su cinque mette a disposizione applicazioni per tablet e smartphone, poco più di uno su cinque (22,4%) è dotato di supporti multimediali. Inoltre, il 34,8% non ha ancora digitalizzato i beni esposti al pubblico e il 37,8% quelli conservati in archivio. E se solo poco più di 1 museo su 5 organizza convegni, conferenze e seminari online o tour virtuali, il 37% degli istituti culturali in Italia non è ancora presente sul web con un proprio sito dedicato. E la biglietteria online è presente solo in 1 ente su 5.

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Affidabilità e competenza: gli italiani promuovono i farmacisti e le farmacie

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Affidabilità e competenza: gli italiani promuovono i farmacisti e le farmacie

È quanto emerge dall’indagine Ipsos, condotta per la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI): di fronte al nuovo scenario post pandemico evolve il ruolo del farmacista e la farmacia diviene sempre più un erogatore di servizi per la popolazione. Quasi otto italiani su dieci (77%) hanno fiducia nel farmacista e lo considerano un professionista competente e accessibile al quale rivolgersi per la gestione della propria salute. Al contempo, i farmacisti sono consapevoli (86%) dell’evoluzione del proprio ruolo, e della fiducia che ispirano alla maggioranza dei cittadini, sebbene non manchi qualche criticità.

Un presidio di assistenza sanitaria sul territorio

Il farmacista si considera, ed è, una figura di riferimento per il cittadino, mentre la farmacia è diventata un presidio di assistenza sanitaria sul territorio, offrendo anche innumerevoli servizi che vanno al di là della semplice dispensazione di farmaci e prodotti per il benessere e la salute.
Questa evoluzione rappresenta, per la maggior parte dei farmacisti, una valorizzazione del proprio ruolo. Ma non è priva di difficoltà: prima fra tutte l’eccessiva burocrazia.
Lo studio Ipsos registra infatti alcune criticità o sfide che oggi il farmacista deve affrontare, anche alla luce del ruolo sempre più strategico che gli viene riconosciuto all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Qualità dell’assistenza e continuità del servizio

Secondo la ricerca il 93% degli italiani ha una farmacia di riferimento, scelta motivata da alcuni aspetti principali: la fiducia (37%), la conoscenza del professionista (28%), la vicinanza (57%) e la soddisfazione per il servizio offerto (42%). A ‘legare’ i cittadini al farmacista sono, inoltre, le conoscenze in campo farmaceutico, la competenza nel consigliare la soluzione più appropriata alle proprie esigenze di cura e la qualità dell’assistenza, garantita dalla disponibilità e dalla continuità del servizio.
La conferma dell’evoluzione del ruolo del farmacista oggi arriva però anche dai desideri degli italiani rispetto ai servizi che vorrebbero fossero erogati o potenziati nella rete delle farmacie territoriali. In particolare, prenotazione di visite specialistiche ed esami (26%), servizi infermieristici in farmacia (19%) e a domicilio (17%), vaccinazione e analisi di primo livello, come la misurazione di pressione e colesterolo (18%).

Verso il modello della Farmacia dei Servizi

Secondo gli italiani, dunque, la farmacia del futuro dovrà essere sempre più un luogo dedicato alla prevenzione e alla presa in carico, oltre alla tradizionale attività di dispensazione del farmaco.
Un’aspettativa che si sposa perfettamente con il modello della Farmacia dei Servizi la cui piena realizzazione, (anche attraverso il potenziamento della telemedicina e del deblistering dei farmaci, indicati dai farmacisti come due servizi chiave per migliorare l’assistenza sul territorio), consentirà di andare incontro ai bisogni dei cittadini e alle esigenze di efficientamento del SSN.
Sul fronte della prevenzione, l’80% degli italiani si dichiara favorevole a farsi vaccinare dal farmacista e valuta positivamente la possibilità che la farmacia diventi un ‘hub vaccinale’ in cui effettuare anche i richiami dei vaccini obbligatori.

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Sicurezza informatica: qual è l’evoluzione delle minacce nel 2023?

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Sicurezza informatica: qual è l’evoluzione delle minacce nel 2023?

L’edizione di metà anno del Report di Acronis sulle minacce digitali, basato sui dati acquisiti da oltre un milione di endpoint a livello globale, coglie l’evoluzione del panorama della sicurezza informatica. Nel 2023 le minacce digitali registrano un picco rispetto all’anno precedente. Segnale della proliferazione del crimine informatico e della crescente abilità degli hacker di compromettere i sistemi. In particolare, il Report rivela il diffondersi dell’utilizzo da parte dei criminali informatici dei sistemi di AI generativa, come ChatGPT, per creare contenuti dannosi e sferrare attacchi sempre più sofisticati.
“Il panorama è estremamente dinamico – commenta Candid Wüest, Vicepresidente Research Acronis – e per affrontarlo le organizzazioni devono adottare soluzioni di sicurezza agili, complete e unificate, che garantiscano la visibilità necessaria a capire gli attacchi, semplificare il contesto e fornire misure di correzione efficienti”.

L’attacco arriva con l’email

Nel primo trimestre del 2023, Acronis ha bloccato circa 50 milioni di URL sugli endpoint, con un aumento del 15% rispetto all’ultimo trimestre 2022. Nello stesso periodo, sono stati resi pubblici 809 casi di ransomware, con un picco del 62% a marzo, rispetto alla media mensile di 270 casi. Sempre nel primo trimestre del 2023, il 30,3% di tutte le email ricevute erano spam e l’1,3% conteneva malware o link di phishing. Ogni esemplare di malware circola in media per 2,1 giorni prima di scomparire. Il 73% degli esemplari è stato osservato una sola volta.
I modelli di AI pubblici agiscono come complice inconsapevole dei criminali alla ricerca di vulnerabilità nei codici sorgente: li aiutano infatti a creare situazioni che impediscono di prevenire e sventare le frodi, come i deep fake.

Malware creati l’Intelligenza artificiale

Nei loro attacchi, i criminali informatici mostrano capacità sempre più sofisticate e utilizzano l’Intelligenza artificiale e il codice ransomware già esistente per penetrare in profondità nei sistemi delle vittime ed estorcere informazioni riservate.
Il malware creato con l’Intelligenza artificiale è in grado di sfuggire agli antivirus tradizionali. Rispetto all’anno scorso sono aumentati in modo esponenziale i casi di ransomware pubblico. Gli endpoint monitorati da Acronis restituiscono dati preziosi sulle modalità di azione dei criminali, confermando la maggiore intelligenza, complessità e difficoltà di rilevamento di alcune tipologie di attacco.

LLM: un fiorente mercato anche per gli hacker

I criminali hanno attinto al fiorente mercato dei grandi modelli linguistici (LLM) basati sull’AI, avvalendosi delle piattaforme per creare, automatizzare, perfezionare e rendere scalabili i nuovi attacchi tramite l’apprendimento attivo. Il phishing invece resta la forma più diffusa di furto delle credenziali e costituisce il 73% di tutti gli attacchi. Al secondo posto, troviamo gli attacchi di compromissione delle e-mail aziendali, con il 15%. Solo nella prima metà del 2023, il numero degli attacchi di phishing basati su e-mail è aumentato del 464% rispetto al 2022, e gli attacchi subiti da ogni azienda aumentano del 24%.
Sugli endpoint monitorati da Acronis è stato registrato inoltre un aumento del 15% del numero di file e URL dannosi per e-mail analizzata.

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PNRR: le Pmi accelerano sulla digitalizzazione 

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PNRR: le Pmi accelerano sulla digitalizzazione 

Il PNRR, organizzato in 6 missioni, prevede per l’Italia 191,5 miliardi di fondi per innovazione e digitalizzazione, transizione ecologica e inclusione sociale entro il 2026.
Fino a oggi l’Italia ha ricevuto dalla Ue quasi 67 miliardi di euro. E un’indagine condotta da Qonto, in collaborazione con OnePoll, ha indagato lo stato di digitalizzazione delle Pmi italiane, analizzando il comportamento nei confronti degli incentivi previsti dal Piano, il livello di competenze digitali, e gli investimenti nella formazione.Il 55% delle Pmi intervistate ha già fatto ricorso agli incentivi, un dato in crescita rispetto al 2022 (43%), mentre tra quelle che non hanno ancora fatto ricorso ai fondi, quasi il 70% ha intenzione di usufruirne nel corso del 2023. Per quanto riguarda gli impieghi dei fondi, l’82% utilizzerà gli incentivi per investire nella digitalizzazione e innovazione tecnologica dell’impresa.

Le micro imprese e il React-Eu

Dall’indagine emerge in particolare che ad avere già aderito agli incentivi continuano a essere soprattutto le Pmi più grand. Tra le aziende da 50 a 250 dipendenti il 59% ne ha già fatto ricorso, in crescita rispetto al 2022 (56%), mentre tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti solo una su quattro (25%) si è già attivata per utilizzare i fondi.
Solo il 35% delle Pmi però ha utilizzato e vuole utilizzare i fondi come il React-Eu a sostegno di Pmi e professionisti contro il caro bollette, che per l’Italia presenta una disponibilità di 14,4 miliardi.
Interessante notare come la percentuale si alza tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti (57%).

Il 66% ha necessità di profili con competenze specifiche

L’impegno verso la digitalizzazione implica la disponibilità di risorse formate e competenti, il 66% dichiara infatti di avere necessità di profili con expertise specifiche per la propria azienda, ma oltre un’impresa su due (56,5%) riscontra difficoltà nel reperire questi profili. Digitalizzazione e innovazione sono aspetti che vanno di pari passo, e la spinta verso l’innovazione tecnologica è confermata anche dal 43% degli intervistati, che dichiara di aver adottato o aver intenzione di adottare nel prossimo futuro tecnologie di Intelligenza Artificiale nella propria azienda.

Fintech e pagamenti digitali: il 62% ha almeno un conto digital

L’indagine Qonto rivela inoltre che oltre il 77% degli intervistati utilizza regolarmente almeno un’app per pagamenti, attività bancarie, investimenti, prestiti o altre attività finanziarie nella propria vita personale o professionale. Il 72% delle Pmi preferisce effettuare pagamenti con carte di credito e debito, il 22,5% si affida a pagamenti via app, e solo il 5,5% in contanti. Il 62% delle imprese poi ha almeno un conto digital: tra queste quasi il 46% sono aziende molto giovani (meno di tre anni di vita) o startup. Tra quelle che utilizzano solo soluzioni tradizionali, il 56% circa si dice pronta all’adozione di un conto digital.

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Quali sono i materiali migliori per una piscina prefabbricata?

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Se stai pensando di installare una piscina prefabbricata nel tuo giardino, sicuramente hai già iniziato a valutare i diversi materiali disponibili sul mercato.

Ma quali sono i materiali migliori per una piscina prefabbricata? Per rispondere a questa domanda ti guideremo alla scoperta dei materiali più utilizzati per la costruzione di piscine prefabbricate e ti aiuteremo a scegliere quello più adatto alle tue esigenze.

Vetroresina

La vetroresina è un materiale composto da fibre di vetro e resine poliestere o epossidiche, che viene utilizzato per realizzare vasche di varie forme e dimensioni. La vetroresina è un materiale resistente e duraturo, ma presenta alcuni svantaggi.

In primo luogo, la vetroresina è un materiale relativamente costoso, soprattutto se si considera il costo della lavorazione. Ciò fa si che anche eventuali operazioni di riparazione siano alquanto costose.

Acciaio

L’acciaio è un materiale molto resistente e durevole, che viene utilizzato per costruire piscine prefabbricate di varie forme e dimensioni. Le piscine in acciaio sono anche molto facili da installare, grazie alla loro struttura modulare.

Tra l’altro, questo tipo di piscine sono molto versatili e possono essere personalizzate con una vasta gamma di accessori, come scalette, trampolini e getti idromassaggi.

A ciò si aggiunge il fatto che le piscine in acciaio sono anche relativamente economiche, soprattutto se confrontate con altre soluzioni.

Calcestruzzo

Il calcestruzzo è un materiale molto resistente e durevole, che viene utilizzato anche per costruire piscine prefabbricate di varie forme e dimensioni.

Le piscine in calcestruzzo sono versatili e possono essere personalizzate a piacimento per quel che riguarda forma e dimensioni.

Ad ogni modo, le piscine in calcestruzzo richiedono una preparazione del terreno molto accurata e sono anche molto costose, soprattutto se si considera il costo relativo a scavo e piastrellamento.

La soluzione migliore: l’acciaio

Dopo aver analizzato i diversi materiali disponibili per la costruzione di una piscina prefabbricata, possiamo affermare che la soluzione migliore sia l’acciaio.

Infatti, le piscine in acciaio richiedono uno scavo molto più piccolo e possono essere installate e pronte all’uso in sole 24 ore. Inoltre, le piscine in acciaio sono molto resistenti e durevoli, e richiedono una manutenzione minima.

In virtù di ciò, le piscine in acciaio sono anche economiche, soprattutto se confrontate con altre soluzioni come il calcestruzzo o la vetroresina.

Cosa devo considerare quando scelgo il rivestimento per la mia piscina in acciaio?

La scelta del rivestimento per la tua piscina in acciaio è una decisione importante, poiché il rivestimento non solo influisce sull’aspetto estetico della piscina, ma anche sulla sua durata e sulla facilità di manutenzione.

Ecco riassunti alcuni fattori da considerare quando scegli il rivestimento per la tua piscina in acciaio:

  1. Resistenza: il rivestimento deve essere resistente all’usura e alle intemperie, soprattutto se la tua zona è soggetta ad escursioni termiche di un certo tipo o a piogge frequenti.
  2. Estetica: il rivestimento deve essere accattivante e armonizzare con l’aspetto del tuo giardino.
  3. Comfort: il rivestimento deve essere piacevole sia alla vista che al tatto.
  4. Facilità di manutenzione: il rivestimento deve essere facile da pulire e da mantenere nel tempo, senza richiedere una manutenzione eccessiva o costosa.
  5. Costo: il costo della piscina può variare notevolmente a seconda del materiale utilizzato, quindi è importante scegliere un materiale che si adatti al tuo budget.

Abbiamo evidenziato le caratteristiche principali della vetroresina, del calcestruzzo e dell’acciaio relativamente alla costruzione di una piscina.

Ognuno di questi materiali ha i propri vantaggi e svantaggi, quindi è importante fare una scelta informata in base alle esigenze tecniche e di budget.

In sintesi, se stai cercando una soluzione affidabile, resistente e conveniente per la tua piscina prefabbricata, il consiglio è quello di optare per una piscina in acciaio.

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Lavoro: un mercato mobile e con sempre meno giovani: -7,6% in dieci anni

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Lavoro: un mercato mobile e con sempre meno giovani: -7,6% in dieci anni

I lavoratori invecchiano, ma quelli giovani in Italia sono diventati una rarità. Nel decennio 2012-2022 gli occupati 15-34enni sono diminuiti del 7,6%, quelli con 35-49 anni del 14,8%, mentre i 50-64enni sono aumentati del 40,8% e gli over 65 del 68,9%.
Come esito della radicale transizione demografica, si stima che nel 2040 le forze lavoro saranno diminuite dell’1,6%. Ma intanto nei primi nove mesi del 2022 ogni giorno in media 8.500 italiani si sono dimessi, +30,1% rispetto allo stesso periodo del 2019, e ogni giorno, in media, 49.500 italiani hanno iniziato un nuovo lavoro (+6,2%). È quanto emerge dal 6° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon e il contributo di Credem, Edison e Michelin.

Precarietà e part-time involontario 

La ricerca di un’occupazione migliore per i giovani significa meno precaria ed è la bussola che orienta decisioni e comportamenti.
La fascia della precarietà è infatti ancora ampia: complessivamente, il 21,3% dei lavoratori italiani è occupato con forme contrattuali non standard, e la percentuale oscilla dal 27,9% delle lavoratrici (16,5% uomini) al 39,3% dei lavoratori 15-34enni.
Tra gli occupati giovani, la percentuale dei contratti non standard raggiunge il 46,3% tra le femmine (34,2% maschi).
Il part-time involontario, con meno ore lavorate e quindi retribuzioni più basse, coinvolge il 10,3% dei lavoratori italiani: 16,7% delle donne (5,7% uomini) e 13,9% dei 15-34enni. Tra gli occupati giovani, la percentuale del part-time involontario raggiunge il 20,9% tra le femmine (9,0% maschi). 

Cambi lavoro chi può

Se potesse, il 46,7% degli occupati italiani lascerebbe l’attuale lavoro: il 50,4% dei giovani, il 45,8% degli adulti, il 58,6% degli operai, il 41,6% degli impiegati e solo il 26,9% dei dirigenti. Anche perché il 64,4% degli occupati dichiara di lavorare solo per ricavare i soldi necessari per vivere, in particolare, questo vale per il 69,7% dei giovani e per il 75,6% degli operai.
Quali sono le ragioni dell’inquietudine nel rapporto con il proprio lavoro? Difficoltà di carriera (65,0%), retribuzioni insoddisfacenti (44,2%, giovani 53,0%), e paura di perdere il posto di lavoro (42,6%). Si tratta di una precarietà attuale e concreta, più tangibile di quella preconizzata dagli annunciati rivolgimenti legati all’innovazione tecnologica.

Sì a smartworking se alternato al lavoro in presenza

Lavora da remoto il 12,2% degli occupati (4,9% 2019). Il lavoro da casa piace perché consente una migliore conciliazione tra vita privata e lavoro (81,3%), riduce lo stress legato al lavoro in presenza (74,8%), permette di lavorare in contesti migliori (74,1%,), migliora la qualità della vita (70,4%). Ma il giudizio è positivo solo se viene alternato con giorni di lavoro in presenza (72,4%), perché non è vero che in smartworking si lavora meno (71,8%), e c’è il rischio che si eroda il senso di appartenenza aziendale (54,4%). In merito al welfare aziendale, se le integrazioni del reddito sono largamente apprezzate, i lavoratori si attendono anche il supporto al raggiungimento di una più alta qualità della vita.

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PMI, quando l’attacco informatico è causato dall’errore umano 

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PMI, quando l’attacco informatico è causato dall’errore umano 

Molte piccole e medie imprese trascurano l’adozione di soluzioni di sicurezza informatica perché non ritengono di essere potenziali obiettivi dei cybercriminali. Tuttavia, uno studio recente riporta che quasi il 46% degli attacchi informatici sono diretti alle PMI. Secondo i dati del World Economic Forum, il 95% delle violazioni della sicurezza informatica è attribuibile all’errore umano. Questi dati mettono in evidenza che le piccole e medie imprese forse non sono consapevoli del fatto che i loro dipendenti potrebbero causare danni all’azienda, sia in modo involontario sia intenzionale. Comportamenti inappropriati potrebbero portare a perdite finanziarie, danni alla reputazione e riduzione della produttività dell’intera azienda.

La disattenzione e la scarsa formazione costano caro

Gli esperti di Kaspersky sottolineano l’importanza di analizzare come la negligenza dei dipendenti o azioni vendicative possano influire sulla sicurezza informatica delle PMI. Secondo la ricerca Kaspersky 2022 IT Security Economics, basata su interviste a più di 3.000 responsabili della sicurezza informatica provenienti da oltre 26 paesi, quasi il 22% delle violazioni dei dati nelle PMI è causato dai dipendenti. Quasi la stessa percentuale è attribuibile ad attacchi informatici, il che rende i dipendenti quasi altrettanto pericolosi degli hacker. Questo accade principalmente a causa della negligenza o della mancanza di consapevolezza e formazione dei dipendenti.

Password deboli e phishing le “trappole” più comuni

Comportamenti inconsapevoli da parte dei dipendenti possono portare a gravi violazioni e mettere a rischio la sicurezza informatica delle piccole e medie imprese. Alcuni esempi includono l’uso di password deboli, la caduta nelle truffe di phishing, le politiche BYOD (Bring Your Own Device), la mancanza di installazione di patch e l’ignorare i principi fondamentali della sicurezza informatica come il backup dei dati. È importante notare che l’ignoranza non è una scusante. Tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni, hanno bisogno di investire nella formazione dei dipendenti per evitare gli errori più comuni.

Misure di protezione sempre aggiornate 

Per mantenere un’elevata sicurezza informatica, Kaspersky consiglia di utilizzare soluzioni di protezione con funzionalità anti-phishing per gli endpoint e i server di posta elettronica, adottare misure di protezione dei dati come la crittografia e il backup regolare, mantenere fisicamente sicuri i dispositivi di lavoro e proteggersi dalle minacce informatiche, anche se si utilizzano dispositivi personali. Inoltre, Kaspersky Small Office Security è una soluzione adatta alle piccole imprese, facile da installare e gestire, che offre una protezione efficace contro le minacce informatiche.

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Nel 2022 sono stati accumulati oltre 5 miliardi di cellulari usati

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Nel 2022 sono stati accumulati oltre 5 miliardi di cellulari usati

Ogni anno vengono lanciati almeno un centinaio di nuovi modelli di telefoni cellulari, e tutti abbiamo visto le file davanti ai negozi per ottenere gli ultimi modelli. Siamo dipendenti dalla tecnologia, ma ci poniamo la domanda: cosa succede ai vecchi device che abbiamo in tasca?
Secondo quanto riportato dall’Ansa, il 58% degli italiani ha ammesso di avere una vera e propria miniera di telefoni cellulari nel cassetto. Non li buttiamo via, li accumuliamo “per ricordo” o li teniamo “di scorta”, ma anche perché non sappiamo come smaltirli correttamente. Questo trend emerge da un’indagine condotta dalla società francese CertiDeal, specializzata in dispositivi elettronici usati e ricondizionati, ovvero resi come nuovi. Gli italiani hanno difficoltà a separarsi dal vecchio smartphone: solo il 15% degli intervistati lo regala ad amici, figli o parenti, mentre il 9% lo rivende. Il rapporto attesta che solo nel 2022 sono stati accumulati complessivamente oltre 5 miliardi di cellulari dismessi, su un totale di 16 miliardi. Se fossero impilati l’uno sopra l’altro, creerebbero una colonna alta 50.000 chilometri.

Il decluttering fa bene anche all’ambiente e alla mente

È necessario aprire quei cassetti e fare un “tech decluttering”, ovvero fare pulizia proprio come si fa con il contenuto degli armadi all’inizio della bella stagione. Secondo gli analisti di CertiDeal, il decluttering va oltre il semplice mettere in ordine, perché si tratta di una decisione che non solo libera spazio in casa, ma fa bene anche alla mente e all’ambiente. Ecco alcuni consigli pratici per farlo: aprire i cassetti e mettere insieme tutti i dispositivi, compresi gli accessori, per selezionare quelli funzionanti e ancora in uso rispetto a quelli non funzionanti. Tra quelli che ancora funzionano, perché non pensarci per un possibile riciclaggio? Potrebbero essere utili a qualcuno che conosciamo, oppure possono essere smontati e offerti a un rivenditore. Se sono irrimediabilmente “morti”, devono essere trattati come “rifiuti speciali” e portati nei punti di raccolta Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) o in un centro di raccolta ecologica comunale attrezzato per lo smaltimento dei Raee. Possono anche essere consegnati a un negozio di elettronica, che è obbligato a ritirare i vecchi apparecchi.

In Italia sta crescendo il mercato dei cellulari usati

In Italia, il mercato dei telefoni cellulari usati è ancora al di sotto della media europea. Tuttavia, al fine di ridurre il consumo sfrenato di cellulari e l’accumulo di spazzatura elettronica inquinante, il mercato dei telefoni usati e ricondizionati, garantiti come nuovi ma a prezzi più vantaggiosi, sta crescendo di mese in mese. Secondo Deloitte, solo il 3% degli smartphone usati in Italia viene venduto a aziende specializzate nel riciclo, mentre solo il 2% viene rivenduto o scambiato. In Germania, l’11% dei telefoni cellulari viene riciclato, nel Regno Unito il 16%, mentre in Francia circa il 6%.

Il problema dell’accumulo

Nonostante solo la metà degli italiani sia familiare con il concetto di economia circolare, l’82% dei cittadini riconosce il suo ruolo potenzialmente determinante per la tutela dell’ambiente. Una ricerca condotta da SWG per il sito di rivendita di dispositivi usati Swappie rivela che il 23% degli italiani guarda ai modelli di economia circolare, mentre il 59% sostiene che l’economia circolare non si diffonderà abbastanza da essere efficace. In conclusione, è importante affrontare il problema dell’accumulo di vecchi dispositivi elettronici, come i telefoni cellulari, attraverso il tech decluttering. Smaltire correttamente i dispositivi usati, riciclarli o venderli a rivenditori specializzati nel ricondizionamento contribuisce a ridurre la quantità di rifiuti elettronici e a promuovere l’economia circolare. Ognuno di noi può fare la sua parte per ridurre l’impatto ambientale e liberare spazio in casa.

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Gli italiani e la famiglia. Fattori di crisi e sfida denatalità

Posted by Massimo Miceli on
Gli italiani e la famiglia. Fattori di crisi e sfida denatalità

Se oltre sette italiani su dieci ritengono la denatalità un problema urgente, causato principalmente da stipendi bassi, precarizzazione del lavoro, mancanza di sostegni pubblici e di servizi, il 64% della popolazione definisce la famiglia come un’unione tra due persone, che decidono di convivere per perseguire un progetto di vita comune, a prescindere che siano di sesso diverso o dello stesso sesso. Una percentuale che aumenta al 73% tra gli under30. Sono alcune evidenze emerse dal report di FragilItalia, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos, dal titolo ‘Famiglia. Percezione, ruolo e fattori di crisi. La sfida della denatalità’. La ricerca è stata condotta in occasione della Giornata Internazionale della Famiglia, che si celebra il 15 maggio.

Crisi demografica, ma 7 under30 su 10 vorrebbero almeno due figli 

La denatalità è un elemento centrale della crisi demografica che investe il Paese, con effetti negativi sulla vita economica e sociale. Un problema avvertito come urgente dal 74% degli italiani. E seppur con un livello di urgenza inferiore rispetto alla media del totale, anche dal 66% degli under30, per i quali ciò si scontra con il desiderio di avere figli. Sette su dieci ne vorrebbero almeno due. 
Le principali cause del problema vengono indicate negli stipendi bassi e nell’aumento del costo della vita (70% vs 63% under30), nell’instabilità lavorativa e nella precarizzazione del lavoro (63% vs 56% under30), nella mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere i figli (59% vs 52% under30), nella mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti (57% vs 45% under30) e dalla paura di perdere il posto di lavoro (56%, percentuale che aumenta al 61% tra le donne).

Famiglia tradizionale e fragilità dei legami affettivi

La visione più tradizionale di famiglia, concepita come l’unione tra uomo e donna, uniti in matrimonio civile/religioso, è appannaggio del 22%, mentre soltanto il 14% la considera come l’unione tra due persone dello stesso sesso. Riguardo alle funzioni della famiglia, il 49% indica l’educazione dei figli (55% uomini), il sostentamento e il mutuo aiuto tra i componenti (47%), e il supporto psicologico reciproco (44%, 53% donne). Tra le cause di fragilità dei legami affettivi, ai primi posti si collocano egoismo, mancanza di comunicazione, difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità, scarso spirito di sacrificio e incapacità di affidarsi all’altro.

Per i più giovani il supporto psicologico reciproco è prioritario

Tra la fascia più giovane la visione più tradizionale della famiglia, come unione in matrimonio tra uomo e donna, scende dal 22% al 12%., mentre in riferimento alle funzioni della famiglia, gli under30 collocano al primo posto il supporto psicologico ai componenti del nucleo (58%), al secondo l’educazione dei figli (46%) e al terzo il sostentamento e il mutuo aiuto (37%). Difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità e insicurezza guidano la classifica delle principali fragilità dei legami affettivi per gli under 30, che rispetto alla media, hanno più paura del tradimento.